23 Dicembre 2010

Indagine Uip, il prelievo fiscale sulle imprese del distretto di Prato


Anche quest’anno, dopo l’esperienza-pilota condotta nel 2009, l’Unione Industriale Pratese ha effettuato uno studio sui bilanci delle imprese per rispondere ad una domanda che ritiene non solo legittima ma anche opportuna in relazione ad un sistema integrato come un distretto industriale: quanto pesa la fiscalità nazionale corrente sul complesso degli utili del territorio? L’analisi, inedita nella sua impostazione incentrata sui numeri aggregati di un’area omogenea, consente di avere una visione di sintesi dell’incidenza degli oneri fiscali sull’economia locale.
Il dato che emerse nel 2009, riferito ai bilanci 2008, evidenziava una situazione al limite della sopportabilità: il drenaggio fiscale complessivo sul sistema manifatturiero di Prato ammontava ad una quota superiore all’81%. In sostanza, a fronte di un utile ante imposte di 111 milioni, sul territorio erano rimasti appena 21 milioni. Dato l’andamento fortemente critico dei ricavi nel 2009, l’Unione commentò già allora che il report sull’anno successivo sarebbe stato ancora peggiore.
Così è stato, con risultati che vanno perfino al di là delle peggiori previsioni. Il campione preso in esame quest’anno comprende 1.797 società di capitali (ad esclusione di consorzi e cooperative), sulle 2.520 attive e generatrici di ricavi nell’intero distretto manifatturiero, comprese le costruzioni; il campione esclude, così come lo scorso anno, le imprese che hanno avuto prestazioni “anomale” sia verso il basso sia verso l’alto (oneri o proventi straordinari di consistente entità). Dal campione così definito emerge che a fronte di un utile ante imposte di 44,2 milioni di euro, sono dovute imposte correnti per 69,6 milioni di euro, con un’incidenza del 157%, in notevole incremento rispetto all’incidenza dell’81% registrata nell’indagine realizzata nel 2009 per l’anno precedente. Per effetto di un tale carico impositivo, l’utile netto del campione è negativo per 19,4 milioni di euro, al netto delle imposte differite ed anticipate.
Si ottengono risultati coerenti con quello generale anche andando ad individuare all’interno del campione principale ulteriori campioni con caratteristiche specifiche, ad esempio prendendo in esame solo il gruppo  delle imprese presenti anche nell’indagine precedente, oppure solo quelle che presentano risultati ante imposte in pareggio/in utile o viceversa in perdita. Queste ultime in particolare presentano una situazione particolarmente pesante: pur avendo risultati ante imposte negativi pagano complessivamente 7,3 milioni di imposte correnti.
“Il quadro è desolante e anche molto preoccupante sul piano della possibilità di un reale decollo della ripresa – commenta Riccardo Marini, Presidente dell’Unione Industriale Pratese -. E’ evidente che più le imprese vengano depauperate di risorse e meno riescono ad investire e quindi ad innescare processi virtuosi che vadano nel senso della creazione e distribuzione di ricchezza. All’origine della grave distorsione del sistema fiscale evidenziata dalla nostra indagine vi è in primo luogo, ancora una volta, l’Irap. Questa ha infatti come base il reddito prodotto al lordo dei costi per il personale, sia pur mitigato negli ultimi anni dalle detrazioni per il cosiddetto cuneo fiscale, e degli oneri e proventi di natura finanziaria. Un’imposta, quindi, che viene calcolata anche se l’ esercizio non è in utile, con la conseguenza che se il monte-utili scende, matematicamente l’incidenza in percentuale del carico fiscale aumenta. Ad essere penalizzate in maniera particolare sono state quelle imprese che, spesso con grande disagio e fatica, hanno investito nel personale o quantomeno non lo hanno ridotto. Ma anche le limitazioni alla deducibilità degli interessi passivi hanno un loro ruolo. Proprio le imprese che prima della crisi avevano investito hanno visto le loro esposizioni bancarie, e quindi il pagamento degli interessi, soggetti ad un trattamento fiscale non favorevole.”
“Sono gli stessi elementi alla base anche del risultato dell’anno scorso – continua Marini -. Non c’è niente di nuovo nei fattori in gioco, ma ciò che cambia è il quadro di riferimento in cui questi si esprimono. L’anno 2009, che ha visto una forte contrazione dei ricavi e bilanci spesso in perdita, ha fornito all’effetto-Irap l’occasione per manifestarsi nella maniera più clamorosa. Le limitazioni alla deducibilità degli interessi passivi hanno fatto il resto, ed eccoci ad un quadro abnorme: le aziende guadagnano poco o niente, addirittura perdono, ma continuano ad essere assoggettate a imposte ingenti.”
“ Non è un caso che il nostro paese si trovi ai primissimi posti al mondo per pressione fiscale – conclude -. Attenzione, perché le imprese non ce la fanno più. Lottare per avere un margine risicatissimo e trovarsi dopo le imposte addirittura in consistente perdita va contro ogni logica. Ci viene detto che il rigore è necessario per combattere, ma evidentemente anche per compensare, l’evasione fiscale: tutto condivisibile, ma bisogna che salti il meccanismo secondo cui chi paga viene spremuto e chi non paga continua a non pagare. I successi che sono stati riportati, e di cui diamo atto, debbono tradursi in un sollievo per le imprese corrette, che altrimenti si trovano a gestire gli effetti dell’introduzione delle misure antievasione senza averne alcun beneficio. Un esempio per tutti: i vincoli sulle compensazioni, pensati per ostacolare usi impropri e troppo allargati di questo strumento. Ebbene, le compensazioni si sono ridotte drasticamente, forse anche perché le stesse imprese corrette hanno avuto difficoltà a farvi ricorso. In ogni caso, dato che un’efficacia di queste misure c’è stata, perché almeno non innalzare il tetto dei 516.000 euro? Perché non accelerare i rimborsi, così da dare un segnale positivo ai contribuenti? Un drenaggio fiscale come quello che stiamo subendo ha effetti pesanti sulla disponibilità di liquidità da parte delle aziende, e quindi sulla loro capacità e possibilità di patrimonializzarsi e di investire.”

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