Stranieri e italiani verso il pareggio nei Centri di ascolto Caritas. La povertà non diminuisce, ci si indebita ricorrendo alle finanziarie


Nel sud Italia il sorpasso è già avvenuto e probabilmente tra non molto ci sarà anche da noi. Secondo il Rapporto 2016 di Caritas nazionale sulla povertà, nel corso degli anni è calato il numero degli utenti stranieri. A Prato, nei primi sei mesi del 2016, gli immigrati che si sono presentati in uno dei 26 Centri di ascolto parrocchiali esistenti sul territorio pratese rappresentano il 61,5% del totale (1108 persone), mentre gli italiani sono il 38,5% (695). Rispetto ai numeri registrati quando la crisi economica iniziò a «picchiare» più forte, le differenze sono evidenti: nel 2009 gli immigrati erano addirittura il 75% degli utenti Caritas. Già due anni dopo, nel 2011, scesero al 67,8%. Di questo passo arriveremo al pareggio nel giro di un paio d’anni.

Per la direttrice della Caritas diocesana Idalia Venco questi dati confermano un trend in atto ormai da qualche tempo: la mancanza di lavoro rende poco appetibile la nostra città e il suo distretto. Se gli stranieri si affacciano meno ai centri parrocchiali è perché in alcuni casi avrebbero deciso di lasciare la città. «Non per tornare a casa – spiega Venco – ma per andare ad esempio a lavorare in Germania o in altri Paesi. Non abbiamo dati precisi su questo fenomeno – afferma -, possiamo dirlo perché non poche famiglie che seguiamo da tempo lo hanno fatto».

Nei Centri d’ascolto, le nazionalità straniere più presenti sono quella marocchina (223 persone), albanese (213), nigeriana (163), romena (120) e cinese (61). Le differenze più vistose rispetto al primo semestre del 2015 riguardano la presenza di cinesi, crollata del 54,5%. Mentre crescono i romeni +10,1%.

 

 

Dietro a ogni persona ascoltata dalla Caritas c’è una famiglia bisognosa di aiuto. Il 77% degli utenti è senza lavoro. Massimiliano Lotti, redattore di questi dati, osserva come tra il 2016 e il 2015, il periodo di riferimento è il primo semestre, gli italiani occupati che si sono rivolti ai Centri di ascolto sono calati del 7,1%, gli stranieri invece del 14,5%. «Sembra che la tenuta del lavoro regolare sia più critica per chi viene da fuori», commenta Lotti. L’85% sono persone già conosciute che ritornano e sono a rischio «cronicizzazione» della propria situazione. Per lo più sono le donne a rivolgersi ai Centri parrocchiali (63,5% del totale), mentre l’età media degli utenti è tra i 44 e i 45 anni, nel caso degli italiani si attesta attorno ai 53 anni e scende a 39 per gli stranieri. Per quanto riguarda i titoli di studio in maggioranza hanno una licenza media (44,7%), poi seguono quella elementare (23,3%), il diploma di scuola superiore (23,1%) e la laurea (5,4%).

Le richieste d’intervento sono sempre le stesse: pagamento di utenze, affitti e rate di mutuo, accanto al bisogno di trovare un lavoro. La Caritas risponde con un orientamento e un accompagnamento delle persone attraverso percorsi individuali che prevedono, tra le altre cose, l’attivazione di tirocini formativi e borse lavoro, la possibilità di avere la tessera dell’Emporio e piccoli ma importanti sostegni familiari, come l’erogazione di buoni acquisto dei libri scolastici per i figli. Aiuti concreti che rappresentano una rete di protezione sociale per andare avanti in attesa di ripartire.
«La Caritas dà un aiuto ma non ha le risorse per sostenere in modo completo e continuativo tutte le domande che arrivano – conclude Venco -, purtroppo c’è chi continua a indebitarsi facendo ricorso a finanziarie e il rischio di cadere nell’usura per onorare i pagamenti è altissimo».

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