La Caritas lancia il progetto «Non solo carcere» per favorire pene alternative ai detenuti: «Con l’accompagnamento si abbassa la recidiva»


«Non ci sono detenuti irrecuperabili, tutti hanno il diritto alla speranza». Ne è convinta la Caritas diocesana di Prato nel presentare «Non solo carcere», un progetto promosso in collaborazione con l’associazione Don Renato Chiodaroli, Gruppo Barnaba e Insieme per la Famiglia. E non solo, perché è la rete la forza con cui si intende raggiungere l’obiettivo primario dell’iniziativa, pensata per aiutare le persone detenute verso il fine pena che hanno bisogno di misure alternative prima di tornare in libertà.

Accoglienza, reinserimento sociale e sensibilizzazione della cittadinanza. Sono i tre ambiti di impegno di «Non solo carcere», finanziato da Caritas Italiana con i fondi derivanti dall’8 per mille alla Chiesa Cattolica. Finalità e caratteristiche del progetto sono state illustrate questa mattina in palazzo vescovile, alla presenza del vescovo Franco Agostinelli e di tutti i soggetti promotori, tra i quali ci sono anche Cna Toscana Centro e Estra Spa, che hanno dato la propria disponibilità agli inserimenti lavorativi e alla realizzazione di attività di informazione rispetto al problema carcere.
«L’obiettivo è quello di prendersi cura di queste persone, è vero – sottolinea la direttrice della Caritas diocesana Idalia Venco – si sono macchiate di uno o più reati ma se vogliamo che veramente possano riparare al danno che hanno commesso, ma soprattutto non delinquere più, allora dobbiamo accompagnarli». L’importanza di questo tipo di sostegno è confermata dal direttore del carcere La Dogaia di Prato Vincenzo Tedeschi: «i detenuti che una volta usciti hanno avuto opportunità lavorative, anche minime e in qualsiasi ambito, hanno un rischio di recidiva molto basso, lo dicono le statistiche e noi possiamo confermarlo».

 

Da sinistra: Idalia Venco, Elena Calabria, Franco Agostinelli, Vincenzo Tedeschi, Saura Saccenti

 

Accoglienza. Nel 1990 a Prato è stata aperta la casa Jacques Fesch, dedicata al criminale francese convertito in carcere, fortemente voluta dai cappellani del carcere per dare un tetto a quei detenuti che hanno ottenuto un permesso premio ma non hanno un posto dove stare. La Casa fornisce dunque un servizio di alloggio temporaneo alternativo all’istituto di pena. Un luogo protetto dove i carcerati possono incontrare i loro familiari. Oggi la struttura, che si trova a Narnali, grazie al progetto Caritas è in fase di ristrutturazione per aumentare la propria capacità di accoglienza. Già nell’estate tornerà in funzione e a settembre ci sarà l’inaugurazione ufficiale.

Reinserimento sociale. Per favorire il ritorno nella società è necessario che il detenuto abbia un impiego. Questo serve anche a poter riallacciare le relazioni familiari interrotte durante il periodo di detenzione. In questo senso il progetto Caritas prevede percorsi individuali di orientamento, corsi di formazione e tirocini formativi all’interno di aziende del territorio. Ciò sarà reso possibile grazie alla collaborazione con Cna Toscana Centro e Estra Spa. «Abbiamo accolto con favore questa iniziativa – spiega Elena Calabria, presidente Cna Toscana Centro – perché è perfettamente in linea con la mission della nostra associazione, composta in gran parte da piccole e medie imprese, molte delle quali condotte a carattere familiare. Siamo sicuri che possano essere l’ambiente adatto ad un possibile reinserimento». Sulla stessa lunghezza d’onda Saura Saccenti di Estra, una società da tempo a fianco della Caritas nel sostenere l’Emporio della Solidarietà. «Siamo una azienda a carattere nazionale – afferma Saccenti – ma siamo strettamente legati al territorio, questo tipo di iniziative per noi traducono nei fatti il concetto di responsabilità sociale d’impresa».

Sensibilizzazione della cittadinanza. Secondo la Costituzione le pene devono tendere alla rieducazione del condannato e non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità (articolo 27). Per questo occorre che la detenzione sia un tempo utile per costruire percorsi esistenziali alternativi a quelli che hanno portato una persona a delinquere. Il progetto «Non solo carcere» si propone di realizzare azioni sul territorio mirate a informare sulle condizioni del carcere e delle pene alternative e a organizzare convegni, spettacoli e iniziative dedicate al tema rivolte alla cittadinanza, ai gruppi, alle associazioni e alle aziende coinvolte nel progetto. Tali iniziative saranno organizzate nei prossimi mesi.

Questi percorsi saranno messi in campo grazie anche alla fattiva collaborazione delle istituzioni carcerarie: direzione casa circondariale di Prato, magistrature di sorveglianza, ufficio per l’esecuzione penale esterna e garante per i diritti dei detenuti.

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Catia
Catia
6 anni fa

Il mio non è un sommato.
Sono la mamma di un detenuto che purtroppo ha scoperto la realtà delle carceri in Italia. Durante i colloqui ho visto persone anziane non reggersi in piedi e chiedere di rientrare in cella in anticipo perché deboli e non in condizioni fisiche, Ho visto gente spenta con lo sguardo vuoto, bambini che piangono gridano perché non vogliono lasciare lì il padre, lo zio o il nonno. Ho sentito uomini che si impiccano…..ragazzi che ingoiano lamette per non essere trasferiti e allontanati dalle loro famiglie. Per non parlare degli spazi in cui respirano, perché non vivono. Mi chiedo che stato è? Se non riesce ad affrontare questi problemi?
Le famose misure alternative?
Il Ministro Orlando ha dichiarato che un’ amnistia non risolverebbe la questione….e allora dovrebbe provare a pensare a un’ alternativa. Quale potrebbe essere?
Da anni si aspetta la riforma carceraria, l’ indulto e l’amnistia; concesse potrebbero alleggerire il lavoro delle guardie e alleggerire la spesa pubblica forse si aspetta un suicidio di massa per liberrare le carceri?
Cosa possiamo fare noi per sollecitare questa situazione, a dir poco disperata?