13 Giugno 2017

Popolare di Vicenza, le prime decisioni dell’Arbitro Bancario Consob a favore degli azionisti


L’Arbitro per le Controversie Finanziarie (Acf) presso la Consob, che ha preso avvio lo scorso 9 gennaio, ha emanato i suoi primi provvedimenti. Sono in totale sei, di cui quattro riguardano la Popolare di Vicenza. Lo rende noto l’Aduc, Associazione diritti Utenti e Consumatori. Tre pronunciamenti riguardano azionisti BpVi che avevano messo in vendita le azioni senza successo, due ad aprile ed uno a luglio 2014, ed hanno chiesto il risarcimento lamentando il fatto che, come si è poi appreso, la banca avesse nelle vendite favorito altri e che in generale non avesse organizzato in maniera efficiente e trasparente il meccanismo di vendita.

L’Arbitro per le Controversie Finanziarie ha dato ragione agli azionisti disponendo risarcimenti in via equitativa (vale a dire quantificati in un importo ritenuto equo dal Collegio), correlati al periodo in cui è stato inoltrato l’ordine di vendita ed inversamente proporzionali al quantitativo delle azioni possedute e messe in vendita. In parole povere: prima sono state messe in vendita le azioni, maggiori sarebbero state le possibilità di venderle. Inoltre, un piccolo lotto di azioni avrebbe avuto elevate possibilità di essere soddisfatto, mentre lotti maggiori avrebbero visto possibilità via via decrescenti con l’aumentare dei pezzi messi in vendita.

Dalla combinazione dei dati sono scaturite le seguenti decisioni:

– Un cliente con 106 azioni messe in vendita ad aprile 2014 ha visto il risarcimento del 100% pari a 6.625,00 euro. Una curiosità: nel calcolare il danno non hanno scalato il valore di 0,10 per azione come invece fatto per gli altri due pronunciamenti.
– Un cliente con 520 azioni messe in vendita ad aprile 2014 ha visto il risarcimento del 75% pari a 24.323,00 euro.
– Un cliente con 1.182 azioni messe in vendita a luglio 2014 a visto il risarcimento del 60%, pari a 44.206,80 euro.

La Popolare di Vicenza ha trenta giorni per pagare ma potrebbe anche non farlo e ricorrere alla giustizia ordinaria.

La Banca aveva dapprima domandato al Collegio di non pronunciarsi perché i clienti, lamentando il mancato riacquisto delle azioni e la disparità di trattamento rispetto agli altri, avrebbero agito in qualità di soci. Ulteriore prova di ciò deriverebbe dal fatto che la disposizione di vendita è un invito al riacquisto delle azioni inoltrato alla Banca ma indirizzato al Consiglio di Amministrazione dell’Istituto. La posizione della banca sarebbe quindi quella di emittente e non di intermediario.
Il Collegio ha invece ritenuto di potersi esprimere ugualmente perché, tramite tali ricorsi, rivestito del compito di verificare la correttezza e la diligenza posta in essere dall’intermediario nella prestazione del servizio di investimento di “esecuzione di ordini per conto dei clienti”.

Nello specifico, invece, la banca si è difesa affermando che i clienti non hanno visto concretizzarsi la vendita delle azioni perché mai essa si era formalmente impegnata al riacquisto dei titoli. Inoltre, nel momento in cui erano state disposte le vendite era entrato in vigore il nuovo Regolamento UE che impediva gli acquisti del fondo azioni proprie. Ancora, secondo la banca non è comunque detto che gli azionisti sarebbero riusciti a vendere, essendo presenti tante richieste inevase e presentate prima delle loro.

In tutti e tre i casi, il Collegio ha invece sancito che “la circostanza che l’ordine di vendita non sia stato comunque neppure processato e/o auspicabilmente eseguito ha privato il cliente anche della possibilità, pur ridotta considerata la tendenziale illiquidità del titolo, di vendere a terzi le azioni che deteneva in portafoglio”. I clienti hanno quindi perso la chance di eventualmente liquidare l’investimento, e di ciò devono essere risarciti per via della “circostanza che l’intermediario non risulta aver posto in essere, non avendo fornito evidenze probatorie in tal senso, iniziative funzionali ad una corretta e tempestiva trattazione dell’ordine di vendita”.

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