17 Agosto 2017

Alluvione in Sierra Leone, la testimonianza di Said fuggito per non fare il soldato: «Sono preoccupato per familiari e amici» VIDEO


Said Ahmed Kabia ha 31 anni ed è l’unico cittadino sierraleonese abitante a Prato. È arrivato qui nel 2014 su un barcone, dopo un viaggio durato più di un anno. È in attesa di ricevere l’asilo politico per motivi umanitari. Attualmente lavora come badante per un anziano pratese (con un regolare contratto), che accudisce giorno e notte.

Ha saputo dal telegiornale della terribile alluvione che ha colpito il suo paese. Almeno seicento persone risultano disperse sotto l’ondata di fango che lunedì ha colpito la capitale Freetown, dove vivono i suoi amici. Il numero dei morti accertati si avvicina ai 400. Un disastro umanitario di eccezionali proporzioni.

«Appena ho visto la notizia al telegiornale ho chiamato mia moglie e i miei figli per sapere come stavano – racconta Said – loro si trovano nell’isola di Pepel e ringraziando Dio quella zona non è stata toccata dal disastro. Sono molto preoccupato per i miei amici che vivono a Freetown, non riesco a mettermi in contatto con loro e non so cosa gli sia successo».

 

 

In Sierra Leone Said è considerato un disertore. È fuggito per non dover fare il soldato. Per quattro anni ha combattuto in Irak, a fianco degli Americani. Poi è tornato a casa dalla moglie e dai figli e quando è stato richiamato al fronte ha preferito fuggire piuttosto che imbracciare nuovamente un fucile. «Avevo firmato un contratto di un anno a mille dollari al mese per andare a fare il soldato sul territorio irakeno – afferma Said – mi avevano assicurato che il nostro compito sarebbe stato quello di mantenere la sicurezza, invece ho combattuto contro altri soldati». Hai dovuto uccidere? «Purtroppo sì, ho dovuto farlo per salvare me e i miei compagni». La vita al fronte di Said non dura dodici mesi ma quattro anni e il suo stipendio è molto più basso rispetto a quanto pattuito: solo 250 dollari. «Così quando sono potuto tornare in Sierra Leone ho colto subito l’occasione – aggiunge il richiedente asilo – ma pochi mesi dopo una lettere mi intimava di tornare in Irak». Said e altri quattro amici si rifiutano di partire. Uno di loro viene ucciso da alcuni militari e all’uomo non resta altro che fuggire. «Anche mie moglie era in pericolo, lei ha scelto di andare con i miei figli a Pepel e ora lì si sente più tranquilla, anche se non è completamente al sicuro. Io ho deciso di imbarcarmi per venire in Italia e trovare un lavoro».

La traversata del Mediterraneo è stata durissima, erano più di cento su un gommone. Una volta sbarcato in Sicilia Said è stato mandato a Prato, dove è stato accolto a Montemurlo, in un centro gestito dall’Arci. Da un anno ha un permesso di soggiorno temporaneo, spera di ottenere l’asilo politico e ha trovato lavoro come badante. «Vivo in casa con un signore anziano molto gentile – sottolinea Said – io mi prendo cura di lui in tutto». Cucini anche? «Certamente, ho imparato a fare la pasta al pomodoro e il coniglio in forno». Grazie allo stipendio Said può inviare un po’ di soldi in Sierra Leone. Ma il suo sogno è quello di riabbracciare, qui in Italia, la sua famiglia.

G.C.

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