23 Settembre 2017

Chianti Banca, nove soci chiedono che sia nulla l’adesione alla holding trentina: deciderà il giudice


Nove soci chiedono l’annullamento della delibera con cui l’assemblea di Chianti Banca, allora presieduta da Lorenzo Bini Smaghi, lo scorso 14 maggio decise di aderire alla holding Cassa Centrale Banca (Ccb) di Trento. I ricorrenti hanno presentato istanza di annullamento al Tribunale civile di Firenze (tribunale delle imprese). La prima udienza della causa che potrebbe modificare le strategie della bcc toscana, e aprire alla virata verso l’altra holding del gruppo Iccrea, si terrà il 10 febbraio 2018.
Con la causa i ricorrenti chiedono l’annullamento della delibera, comunque che se ne dichiari l’inesistenza, riguardo un solo punto dell’ordine del giorno: il voto, per alzata di mano, che confermò l’adesione della Bcc fiorentina alla holding trentina. I nove soci contestano modalità e regolarità della votazione, avvenuta con “pochi intimi” e concomitante con altre votazioni, senza la registrazione dei soci presenti né di quelli che si erano spostati per le altre operazioni o che avevano definitivamente abbandonato l’assemblea.

Secondo la presidenza, la deliberazione per portare Chiantibanca dentro la holding delle Bcc del nord est, in Ccb, venne approvata. Ma i nove soci, assistiti dal loro avvocato Vincenzo Vigoriti, dubitano della legittimità della votazione e chiedono di annullare tutto col ricorso civile. Si parla di “assemblea svuotata” da altre votazioni, che erano in corso su altre decisioni all’ordine del giorno (regolamento elettorale, nuovo cda, nuovo collegio sindacale), “in locali diversi e lontani, in cartaceo, con procedure complesse” dove “quasi tutti andarono a votare abbandonando la sede principale dell’assemblea”. “Molti se ne andarono”, “defatigati dalle incombenze”, “pochi sono tornati” nell’aula principale, il teatro Obihall di Firenze.

Quindi, a votare per l’entrata in Ccb c’erano “pochi intimi”. Lo stesso notaio chiamato a redigere il verbale, sostengono i ricorrenti, segnala “l’esiguità delle presenze” rispetto ai 3.183 soci ammessi al voto (su 26.554 soci), “non essendo presenti in sala nemmeno una parte delle migliaia di soci” considerati favorevoli dal presidente alla proposta messa ai voti, i quali non risulterebbero registrati. Anche il numero dei voti favorevoli sarebbe “ignoto”, si presume solo che superi quello dei contrari: nel ricorso si sostiene che la deliberazione dell’adesione fu fatta osservando le mani alzate, “del tutto opinabile”.

“In un sodalizio che prevede voti individuali, ma anche deleghe, occorre verificare in dettaglio il peso elettorale di ciascuno, non bastando il numero delle mani alzate e l’impressione visiva”. “Tutto – si conclude da parte dei nove – è confuso e approssimativo” e la “delibera impugnata è stata adottata con modalità difformi da quelle di legge”, “in situazione di palese illegalità”.

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