12 Dicembre 2017

Processo Csn, il pm non fa domande agli imputati. E un testimone ritratta alcune accuse a Tozzi


A sette anni dai fatti e a poche settimane dalla prescrizione della maggior parte dei reati contestati, entra nel vivo il processo a carico di Gilberto Tozzi, del figlio Saverio e della moglie Deanna Lastrucci, che per lunghi anni hanno gestito il Centro di Scienze Naturali di Galceti e sono accusati, a vario titolo, di maltrattamento di animali, esercizio abusivo della professione veterinaria e detenzione di armi.
Nell’udienza straordinaria di oggi era prevista anche l’audizione degli imputati, ma il pubblico ministero Egidio Celano ha dichiarato di non avere domande da fare, impedendo così di fatto il controesame da parte della difesa, che – rappresentata dagli avvocati Michele Nigro e Alberto Rocca – ha annunciato per la prossima udienza le dichiarazioni spontanee di Gilberto Tozzi.
Sono stati invece sentiti alcuni testimoni dell’accusa e della difesa. Riccardo Pagani, all’epoca segretario dell’Associazione dei volontari del Csn, ha riferito che uno dei principali accusatori dei Tozzi, Mirko Paiar, nell’agosto 2009 fu sospeso assieme ad un altro volontario per motivi disciplinari e non prese bene la decisione. “Al termine della riunione del Comitato esecutivo – ha detto il testimone – Paiar si rivolse a Gilberto e Saverio dicendo che non sarebbe finita lì e che gliel’avrebbe fatta pagare”.

Sui maltrattamenti agli animali e sugli abbattimenti, tra cui esemplari di specie “nocive” come topi, cornacchie e piccioni, si sono incentrate le audizioni di altri volontari. “Alcuni animali arrivavano al centro disarticolati o gravemente feriti a causa di incidenti e venivano soppressi per farli smettere di patire – ha raccontato Mario Vignolini -. In alcuni casi si faceva intervenire il veterinario ma in altri, magari di notte, gli animali venivano uccisi da Gilberto Tozzi con una carabina calibro 22: mi è capitato di vederlo compiere abbattimenti a scopo di eutanasia”.

Il Centro di scienze Naturali che curava la fauna selvatica nell’ambito di una convenzione con la Regione Toscana, nonostante prendesse in carico ogni anno 3.500 animali (soprattutto volatili e ungulati) non aveva la presenza fissa di un veterinario, né ambulatori certificati. C’era la convenzione con un veterinario di Pistoia, Giacomo Giromella, che si recava una volta alla settimana a visitare gli animali ed era reperibile 24 ore su 24, tutto l’anno, per le urgenze. “Per i casi di urgenza venivo chiamato circa tre volte al mese. Tante volte l’animale ferito moriva prima del mio arrivo; gli ungulati, in particolare, hanno una percentuale di recupero e di sopravvivenza molto bassa” ha detto oggi il veterinario, che ha riferito di non aver mai visto animali denutriti tra gli ospiti del Csn e ha sottolineato che gli “abbattimenti richiedono in ogni caso una visita veterinaria, così come la somministrazione di antibiotici all’arrivo degli animali”. “Tozzi e gli operatori del centro avevano autorizzazione a fare una prima valutazione preliminare per stabilire se c’era urgenza, e potevano proseguire nella somministrazione di un farmaco soltanto dopo la visita veterinaria e su mia indicazione dopo che avevo iniziato la terapia” ha aggiunto Giromella.
Francesca Catani, dipendente del Csn (ed oggi della Fondazione Parsec), ha confermato che il primo screening sugli animali portati a Galceti era effettuato principalmente dal direttore del Csn Gilberto Tozzi: “Si guardava se aveva un’ala spezzata, una zampa rotta. Si somministravano medicinali purchè autorizzati da veterinario. Ho visto fare delle fasciature in attesa di intervento del veterinario perchè l’animale non si pestasse un’ala e aggravasse le sue condizioni”. Ma sul fatto che in un paio di occasioni Gilberto Tozzi abbia applicato punti di sutura su animali feriti senza la presenza del veterinario, la testimone Francesca Catani, che sette anni fa lo aveva esplicitato nel verbale di polizia giudiziaria, ha ritrattato spendendo parole pesanti sulle modalità con cui fu sentita all’epoca: “Quando fui interrogata sono stata indotta a dire una cosa che non ricordavo con esattezza. Non ricordavo e più volte mi è stato fatto notare che era impossibile che non ricordassi perchè c’erano altri testimoni. In quel momento, presa dall’agitazione, posso aver detto cose di cui non ero sicura” ha detto in aula.

Nel corso dell’udienza è stato sentito anche un altro veterinario, Fiorenzo Mannini, che intervenne su richiesta della polizia provinciale la mattina del blitz al Csn per gli accertamenti sulla modalità di tenuta degli animali. “C’erano delle voliere in condizioni igieniche molto scadenti, piene di guano, abbeveratoi sporchi – ha detto Mannini -. Abbiamo trovato centinaia di merendine nel magazzino, che venivano usate per dare da mangiare ai cinghiali, alcuni dei quali erano tenuti in piccoli recinti. Nel magazzino c’erano congelatori contenenti topi morti e grosse quantità di storni, che erano stati sicuramente catturati vivi e poi uccisi in un secondo momento tramite schiacciamento del cranio, viste le impronte del pollice lasciate sulla carcassa. Quanto all’alimentazione di cervi, daini e caprioli, presenti in una quarantina di esemplari, non ho trovato in tutto il centro nessuna scorta di foraggio, che è fondamentale per l’apparato gastroenterico degli erbivori”.
Ma su questo punto, Mannini è stato contraddetto dagli avvocati Nigro e Rocca che hanno mostrato al giudice una foto di un deposito di fieno, fotografato dalla stessa polizia provinciale durante la perquisizione del 22 giugno 2010. “Abbiamo fatto tutto in un giorno e il tempo dedicato ad ogni singolo aspetto è stato minimo. Ci sarebbero voluti 2 o 3 giorni per vedere per bene tutto il Centro – ha dovuto ammettere a quel punto il veterinario Mannini -. E anche l’esame degli storni è avvenuto in 5 minuti, non è stata certo una necroscopia”.
La prossima udienza del processo è fissata per il 19 dicembre, quando è attesa la sentenza.

D.Z.

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