16 Febbraio 2018

Prostituzione cinese in centro: chiesto il processo per 34 persone tra proprietari delle case, tenutarie e intermediari


Il sostituto procuratore Laura Canovai ha chiesto il rinvio a giudizio per 34 persone coinvolte nell’inchiesta sul favoreggiamento della prostituzione in diversi appartamenti del centro, fra cui 5 case in via San’Antonio, tre in piazza Mercatale e altre in strade limitrofe. L’indagine della guardia di finanza, denominata Piazza Pulita, nel novembre 2015 passò al setaccio il fenomeno delle prostitute cinesi che adescavano in strada, giorno e notte, i loro clienti, per poi condurli nelle case in cui vivevano in subaffitto.
Tra gli indagati per i quali è stato chiesto il rinvio a giudizio, ci sono 14 cittadini italiani (proprietari degli immobili e intermediari) e 20 cinesi. Fra questi ultimi ci sono le tenutarie delle case di tolleranza, che sfruttavano le connazionali, e dieci orientali, i quali si sarebbero resi disponibili a farsi intestare il contratto di affitto consapevoli di “coprire” in questo modo l’attività di prostituzione.

Uno degli indagati, un anziano pratese di 82 anni, ha collaborato alle indagini chiedendo di patteggiare: l’uomo ha riferito agli inquirenti di aver ospitato una donna cinese e di avergli chiesto di dividere le spese di casa, quando ha capito che riceveva altri uomini e si prostituiva nel suo appartamento. In alcuni casi, lo stesso anziano avrebbe chiesto e ottenuto prestazioni sessuali dalla donna, come “ricompensa” per l’ospitalità. Per questo anche l’82enne dovrà rispondere di favoreggiamento della prostituzione. Riciclaggio è invece l’ipotesi di reato a carico di un altro cittadino italiano, il gestore di un money transfer, il quale accettava di trasferire denaro in Cina dietro richiesta di persone diverse rispetto a quelle che gli si presentavano dinanzi. In questo modo i proventi dello sfruttamento della prostituzione sarebbero tornati in Cina.

Quanto agli appartamenti, nei giorni immediatamente successivi ai sequestri, il Tribunale del Riesame accettò la richiesta di dissequestro avanzata dai legali degli indagati, che dimostrarono come i canoni di affitto chiesti agli inquilini fossero compatibili con i prezzi del mercato.
Non c’era insomma un guadagno extra, un sovrapprezzo che potesse far pensare immediatamente alla consapevolezza di affari illeciti legati alla gestione degli immobili.

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