19 Aprile 2018

La nuova vita di Gianpietro dopo la morte del figlio ucciso dalla droga. Domani l’incontro alla parrocchia di San Paolo


Gianpietro Ghidini a Prato per raccontare la storia di Emanuele. Sarà un incontro dedicato al rapporto tra genitori e figli, utile anche per fa riflettere sul delicato tema della droga nel mondo giovanile, quello che si terrà venerdì 20 aprile alle ore 20,45 nella chiesa parrocchiale di San Paolo (via Carissimi). A volerlo è stato il parroco di San Paolo, don Jean Jacques Ilunga, che lo ha inserito in un più ampio ciclo di serate tematiche. La partecipazione è libera.

«L’idea – racconta Sandra Bongi, parrocchiana di San Paolo – è nata parlando con don Jean Jacques delle nuove droghe. Allora, alcuni mesi fa, ho contattato Ghidini attraverso il sito pesciolinorosso.org per chiedergli di portare anche da noi la sua testimonianza sul tema».

«L’evento fa parte di un calendario di incontri – sottolinea don Ilunga – nei quali trattiamo problemi reali a cui soprattutto i catechisti vanno preparati per poter aiutare i ragazzi. Recentemente abbiamo parlato, ad esempio di anoressia. Oggi, ringrazio papà Gianpietro per aver accolto il nostro invito».

 

 

La storia di Emanuele Ghidini è legata a una sera del 2013. Era il 24 novembre. Allora lui aveva appena 16 anni. A una cena con amici più grandi accettò di provare un «francobollo», un acido. Quella prova innocente lo portò nell’angoscia profonda e alle 2 di notte si gettò nel Chiese, il fiume che scorre a poche centinaia di metri dalla sua casa di Gavardo, nel bresciano, nello stesso punto dove una decina di anni prima, insieme a papà Gianpietro, aveva liberato un pesciolino rosso che, purtroppo, fu poi mangiato da un’anatra. Il corpo di Emanuele è stato ritrovato a poche centinaia di metri di distanza. Il fatto ha sconvolto la sua famiglia e il padre ha reagito creando una fondazione che si impegna ad educare i ragazzi a stare lontani dalle droghe.

«Quella notte – ci ha rivelato Gianpietro Ghidini – sulle rive del Chiese avevo due possibilità: buttarmi anch’io, e sarebbe stata la cosa più facile che avrebbe cancellato dolore e sensi di colpa, o cambiare vita e dare voce a un ragazzo che aveva grandi sogni. Ho intuito che avevo sbagliato i parametri della vita: non è il successo economico, che avevo raggiunto, la cosa più importante. Gettandosi in quel fiume mio figlio mi ha salvato facendomi capire che una vita senza dono è una vita vuota. Da lì è partito un progetto nuovo. Ho creato la Fondazione Ema Pesciolino Rosso e iniziato a raccontare una storia che può far cambiare strada a molti ragazzi. In poco più di quattro anni siamo andati dappertutto. Abbiamo fatto oltre 1160 incontri: siamo stati in scuole, chiese, centri di vario tipo e incontrato persone meravigliose. Il frutto più bello lo cogliamo ogni volta che qualcuno ci viene ad abbracciare dicendo che vuole cambiare vita. A Prato – conclude Gianpietro – veniamo per la prima volta portando con gioia la nostra parola che vuol essere sempre una ciambella di salvataggio per chi ne può aver bisogno».

S.B.

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