Il vescovo Agostinelli ha ordinato tre diaconi in cattedrale: «la Chiesa non è privilegio ma servizio»
«Essere diaconi significa servire. La Chiesa non è privilegio ma servizio. Siate segno della presenza di Dio e sacramento della sua misericordia». Lo ha ricordato il vescovo Franco Agostinelli ai tre nuovi diaconi della diocesi di Prato ordinati ieri pomeriggio in cattedrale all’interno di una solenne concelebrazione molto partecipata. Ponendo le mani sul loro capo, consegnando il Vangelo e la stola, il Presule ha ordinato Silvano Pagliarin, Reji Thomas Vechoor e Alberto Giuseppe Pintus. Sono tre seminaristi della comunità di Prato in cammino verso il sacerdozio. Quella del diaconato rappresenta l’ultima tappa prima di diventare preti.
Prima di essere ordinati i tre candidati sono stati presentati al Vescovo dal rettore del Seminario don Daniele Scaccini come «degni di ricevere il diaconato». «Vi chiedo di vivere questo servizio in umiltà e carità – ha detto monsignor Agostinelli durante l’omelia rivolgendosi ai tre seminaristi – abbiate una fede diamantina, pura». E prima di consegnare loro una copia del Vangelo ha affermato: «ricevi il Vangelo di Cristo del quale sei diventato l’annunziatore, credi a ciò che proclami e vivi ciò che insegni».
Silvano Pagliarin ha 44 anni da poco compiuti e come suggerisce il cognome è originario del Veneto. Viene da Soave, vicino Verona, un paese di settemila abitanti dove negli ultimi cinquant’anni sono nate più di venti vocazioni sacerdotali. «Anche io come tanti qui ho un parente prete – dice Silvano – era il fratello di mia nonna, don Angelo, morto alcuni anni fa». È arrivato a Prato nel 2013 con i Discepoli dell’Annunciazione, la comunità religiosa che in città ha la casa madre. Alle spalle aveva già alcuni anni di seminario a Verona, poi la scelta della strada religiosa e successivamente è sbocciato di nuovo in lui il desiderio di diventare sacerdote diocesano. Nel frattempo ha ottenuto il baccalaureato alla facoltà teologica del Triveneto. Amante della musica, suona l’organo e nel futuro si vede come sacerdote attento in particolare ai ragazzi perché si definisce: «un figlio dell’oratorio». Presta servizio alla parrocchia di Santa Maria della Pietà.
Anche Reji Thomas Vechoor, 45 anni, ha vissuto alcuni anni con i Discepoli prima di decidere di entrare nel seminario di Prato. Lui viene dalla regione indiana del Kerala, è il quinto e ultimo figlio di una famiglia cristiana da generazioni, ha una zia suora e un cugino della mamma è addirittura vescovo della Chiesa cattolica silo-malabarese di rito orientale. È arrivato in Italia, parla perfettamente la nostra lingua, per studiare a Roma al Collegio Urbaniano con il movimento missionario Jesus Youth. Reji ha conseguito il baccalaureato e ha il desiderio di essere sacerdote a servizio della Chiesa, «in particolare delle famiglie», sottolinea il futuro diacono. Attualmente dà una mano alla segreteria vescovile ed è impegnato all’oratorio di Sant’Anna.
Alberto Giuseppe Pintus invece viene da mondo del lavoro. Ha 55 anni e per 22 si è impegnato nella cooperativa sociale Humanitas, di cui è stato a lungo presidente. È nato in Sardegna e poi è entrato a far parte della Compagnia di Gesù, nella quale ha compiuto tutte le tappe fino ad ottenere la licenza in liturgia pastorale a Padova. Dopo ha lasciato la congregazione e ha iniziato a lavorare nel campo del sociale. Risale a pochi anni fa la decisione di entrare in Seminario per diventare sacerdote diocesano. Da alcuni mesi è stato nominato vice direttore della Caritas diocesana. Ottimo chitarrista e amante della musica Jazz, Pintus ha come attitudini personali l’educazione e la cultura.
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