6 Luglio 2011

CRAIGSLIST: COME CERCARE CASA A NEW YORK (PART 3, THE END)


Questa è casa mia, finalmente. A Manhattan. Al quinto piano, una camera piccola piccola ma “con tutto”, a Gramercy, delizioso quartiere a due passi da Union Square e da Eataly, un grande supermercato con prodotti italiani italianissimi in caso venisse nostalgia di casa (non ho di questi problemi al momento… quando sono fuori mi piace “stare fuori”… spaghetti e mozzarella me li gusto al ritorno in Italia). Ma comunque.

Insomma, infine come l’ho trovata, ‘sta camera? Col metodo più vecchio del mondo, che tra noi italiani funziona benissimo: il passaparola.

Infatti, non ho ancora capito bene come accada, l’italiano conosce sempre un cugino dell’amica del fratello dell’ex compagno di banco del liceo che, guarda caso, abita proprio a New York e, guarda caso, viene a farsi le vacanze in Italia proprio nel periodo in cui TU sarai a New York. E, generosamente, può subaffittarti la sua stanza, magari a un prezzo di favore visto che, comunque, “non è che sto a portarmi dietro tutta la roba dunque magari nell’armadio e nella cassettiera avrai meno spazio”. Tant’è. E così, più o meno, è capitato a me.

L’aspetto sociologicamente più interessante della mia casa (due bagni e 5 stanze da letto) è che non esiste un vero e proprio tavolo dove mangiare insieme. Quello nel living room, il salotto, è stato interamente occupato da una grande tv via cavo. Questione di priorità.

E ancora: la stanza dove sono io oggi in realtà è abitualmente occupata da una studentessa italiana che qui nella Grande Mela sta frequentando un PhD (ovvero un dottorato, che negli Stati Uniti dura circa 5 anni) alla New York University, ed è uno dei tanti “cervelli in fuga” dall’Italia che vengono negli States alla ricerca di uno spazio che in patria non sembrano trovare (ma questo è un capitolo ampio che apriremo più avanti, direi). Tornando a casa per le vacanze, cercava qualcuno a cui affittare la casa nei mesi estivi per poi “riprendersela” all’inizio del prossimo anno accademico. Nel nostro caso, il passaparola ha fatto molto comodo ad entrambe, ma così, vi assicuro, è capitato ad almeno altri tre su quattro giovani (italiani) che avevano il mio stesso problema.

Tra italiani funziona così: c’è una sorta di simpatia patriottica che scatta in modo esponenziale all’estero. Con lati buoni (come in questo caso, che mi ha “salvata”) e lati più “paesani”, come quando ci spertichiamo e facciamo di tutto per farci riconoscere come italiani da altri italiani all’estero. Comunque, il dato di fatto è che tra di noi abitanti dello “Stivale” all’estero resta fortissimo il senso di legame e di reciproco aiuto… come se ci fosse sempre una sorta di Little Italy. Sarà un bene, sarà un male?

E a voi, è mai capitato?

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