13 Dicembre 2011

Sindacalista e ditte pratesi vittime di camorra


C’erano anche un sindacalista della Cgil di Prato che ha subito minacce, e aziende pratesi (oltre che di Firenze e Pisa) tra le vittime di un’organizzazione criminale di stampo camorristico, sgominata dalla Direzione distrettuale Antimafia e dalla squadra mobile di Firenze, che ha arrestato sette persone e sequestrato beni per oltre nove milioni di euro. Gli indagati in tutto sono 31 per estorsioni, tentata corruzione, riciclaggio e reati societari posti in essere mediante l’uso sistematico della forza e dell’intimidazione. L’attività principale dell’associazione,  radicata in Toscana dalla metà degli anni Ottanta e capeggiata da campani legati a noti clan di camorra, consisteva nell’acquisire società in crisi. Dopo l’offerta iniziale di aiuti e sostegni economici alle aziende in difficoltà, il clan ne assorbiva completamente la gestione con contabilità principalmente gestite a “nero”, mediante violenze e minacce tipiche degli appartenenti alle organizzazione mafiose. A subire le intimidazioni, secondo quanto ricostruito dagli inquirenti, è stato anche un noto esponente della Cgil pratese, che rappresenta gli interessi dei lavoratori di una delle aziende finite sotto l’influenza del gruppo criminale. Il sindacalista è stato vittima di numerose minacce verbali; in due occasioni gli esponenti del sodalizio criminale avrebbero tentato di passare alle vie di fatto organizzando un pestaggio, sventato, in entrambi casi, grazie all’intervento delle forze dell’ordine.
Gli esponenti del clan acquisivano proprietà di terzi e finanziavano le proprie mosse con ingenti capitali prelevati di volta in volta da conti esteri. All’operazione hanno collaborato anche i finanzieri del Gruppo di Formia, che hanno accertato un’evasione fiscale da 20 milioni di euro, perpetrata dal gruppo criminale mediante la costituzione di società “cartiere” che emettevano fatture false a beneficio di società effettivamente operanti nel settore tessile, per generare crediti d’imposta fittizi. Le società, che avevano una vita media di due/tre anni decorsi i quali venivano messe in liquidazione e sostituite con altrettante identiche, venivano intestate a “teste di legno” compiacenti che percepivano, per tale incombenza, una somma mensile variabile da 800 a 1500 euro.
A dare il via alle indagini nell’ottobre del 2009 fu la testimonianza di un imprenditore che trovò il coraggio di denunciare alla polizia, un colpo d’arma da fuoco esploso sulla portiera della sua autovettura, da sicari riconducibili alle persone inquisite. Durante la deposizione emerse che l’uomo in affari, titolare di una ditta di giardinaggio di Castelfiorentino, proprio all’inizio del 2009 per fronteggiare un’improvvisa crisi finanziaria, accettò “l’aiuto” di un imprenditore campano, il principale indagato.
Ma col passare del tempo il denunciate si accorse che il nuovo socio lo stava di fatto estromettendo da tutte le attività della propria impresa con mirate manovre aziendali. A queste sono seguite minacce e sistematiche aggressioni mafiose fino allo spoglio completo dei beni immobiliari della società.

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