14 Marzo 2014

Negli ultimi tre anni sono 533 gli stranieri di Prato che hanno preso la cittadinanza italiana: in pochi sono favorevoli allo ius soli


Sono stati presentati stamattina, in sala giunta di Palazzo comunale, dall’assessore alle Politiche d’integrazione Giorgio Silli i risultati della ricerca “I nuovi italiani”, che fornisce una fotografia di chi sono e come vivono i migranti residenti a Prato che hanno voluto e ottenuto la cittadinanza italiana negli ultimi 3 anni. Presente anche il sociologo Mauro Vecchietti, che ha realizzato la ricerca, promossa dall’assessorato e inserita in un più ampio progetto sui migranti finanziato dalla Comunità Europea.
«Questa indagine ci proietta in quella che è la Prato che verrà – ha dichiarato l’assessore alle Politiche d’integrazione Giorgio Silli –. Si parla spesso dei capitali che escono dal nostro Paese in direzione dei luoghi d’origine dei cittadini stranieri. Abbiamo invece voluto mettere qui a fuoco l’aspetto opposto, ovvero analizzare quali sono le aspettative, le percezioni e le risorse che investono sul nostro territorio coloro che hanno deciso di progettare la loro vita in Italia, amandola a tal punto da voler diventare italiani».
La ricerca prende in considerazione i soggetti residenti a Prato che hanno ottenuto la cittadinanza per matrimonio o per residenza legale continuativa sul territorio italiano dall’inizio del 2011 a settembre 2013. Sono in tutto 533, di cui 112 sono stati intervistati telefonicamente ai fini dell’indagine. Sull’importanza, anche simbolica, dell’attribuzione della cittadinanza ai “nuovi pratesi” l’assessore Silli ha dichiarato: «Mi sono battuto perché il giuramento venisse fatto, come adesso avviene, in Palazzo comunale, luogo simbolo della vita civile della città. Perché chi ha fatto questa scelta deve essere premiato». Il maggior numero di naturalizzazioni sono state conseguite da soggetti di nazionalità albanese, seguiti da pakistani e marocchini. Molti meno i cinesi, ostacolati anche dal fatto che la Cina non permette la doppia cittadinanza. «Nella migrazione cinese esiste quello che in gergo si chiama “ermetismo comunitario” – ha approfondito il ricercatore Mauro Vecchietti –. Al crescere della comunità, si rafforza la sua coesione interna, a scapito dell’integrazione con la comunità “d’adozione”. C’è però una sostanziale differenza tra le prime generazioni, che sono venute per ripartire, e le seconde, che vogliono rimanere».
La ricerca ha analizzato anche i motivi per cui “i nuovi italiani” sono arrivati nel nostro Paese: il lavoro costituisce la motivazione principale per la maggior parte degli intervistati (60 percento). Ma ne sono state individuate anche altre, sovrapponibili tra loro e alla prima: presenza di reti di conoscenti, prospettiva di una vita migliore, matrimonio, studio, turismo e anche puro piacere di vivere in Italia.
Un dato interessante è che quasi la totalità degli intervistati si è dichiarata soddisfatta di vivere a Prato e circa il 60 percento la giudica una città accogliente.
Per quanto riguarda il lavoro, i 2/3 dei soggetti inclusi nell’indagine hanno un’occupazione stabile e di questi 1/3 sono lavoratori autonomi. Pochi (meno del 40 percento) aiutano i familiari rimasti nel paese d’origine con i proventi della loro attività. «Quello in cui vengono mandati soldi ai connazionali è un periodo iniziale, che precede un più profondo radicamento – ha spiegato Vecchietti – . Il momento di rottura solitamente avviene con la nascita del primo figlio nel paese “d’adozione”».
Il 60 percento degli intervistati ha una casa di proprietà e la rimanente percentuale spende una media di 500 euro mensili per l’affitto. «I nuovi italiani attirano capitali e investimenti dal loro paese d’origine – afferma ancora Vecchietti – Fungono inoltre l’anello di congiunzione tra le due comunità, quella italiana e quella straniera, e contribuiscono all’integrazione».
“I nuovi pratesi” si sono dimostrati inoltre molto attenti alla politica, sia nazionale che locale, di cui hanno un grado di conoscenza molto alto, acquisita principalmente tramite la televisione.
Un risultato sorprendente riguarda il parere degli intervistati sul processo di acquisizione delle cittadinanza: se un 40 percento si dichiara a favore dello ius soli, c’è un abbondante 35 percento che si schiera dalla parte dello ius sanguinis e che, anzi, ritiene la legislazione italiana un po’ troppo lassista in materia e chiede più attenzione ai test sulla lingua, ai controlli sulla residenza e sui documenti, oltre che al coinvolgimento degli “aspiranti italiani” alla vita culturale della comunità. Unanimi invece le critiche alla troppa burocrazia dell’iter per la naturalizzazione: tra le richieste, meno anni di residenza, più procedure online e unificazione degli uffici per le pratiche.

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