Ore 15 di mercoledì 16 aprile. Il Pronto Soccorso del nuovo Ospedale Santo Stefano è ingolfato. Nei due corridoi paralleli e negli altri spazi adiacenti si contano sedici pazienti sulle barelle (nella foto), collocati lungo il muro, uno accanto all’altro, “in osservazione”. Hanno ricevuto la prima diagnosi e i primi interventi; sono in attesa di ulteriori accertamenti oppure di una valutazione più approfondita in base al decorso. Potrebbero essere dimessi oppure ricoverati. Procedure normali di un Pronto Soccorso, dove medici e infermieri corrono da una sala visite all’altra, mentre arrivano più o meno di continuo nuovi pazienti. “È sempre così?”, chiediamo ad un infermiere che si scusa con il paziente barellato mentre lo sistema lungo il corridoio. “Ieri un po’ meglio, ma più o meno è la norma”, ci risponde.
Ci sono due ragazzi giovani, ma perlopiù i pazienti sono anziani. C’è anche qualche adulto. Quasi tutti ancora indosso i propri indumenti, tutti o quasi con la flebo.
A dividere i due corridoi paralleli ci sono alcune stanze, poche e piccole, che – da quanto capiamo – sarebbero destinate proprio all’attesa dei pazienti e, in parte, ai primi trattamenti. Sono tutte sature. I familiari vengono ammessi con gentilezza, compatibilmente con le esigenze di servizio, e devono restare in piedi, magari per ore accanto alla barella del congiunto. Ogni tanto c’è da fare lo slalom: arrivano altre barelle o transitano quelle con i pazienti che vengono portati nelle sale di visita: i corridoi sono talmente stretti che già le manovre sarebbero poco agevoli anche se gli spazi fossero liberi; figuriamoci con l’ingombro di altre barelle e dei familiari appoggiati alle lettighe.
E dire che il Pronto Soccorso pratese è da tempo uno dei fiori all’occhiello della sanità pratese, grazie ad una buona organizzazione e alla preparazione del personale medico e infermieristico. Tocca proprio agli operatori rimediare ad una situazione logistica inadeguata e – qui sta soprattutto il punto – incredibilmente peggiorata rispetto al Misericordia e Dolce. Nel vecchio ospedale, infatti, erano presenti due sale, ampie e ben separate, per l’osservazione dei pazienti giunti al Pronto Soccorso. Non risolvevano il problema della promiscuità, ma almeno garantivano una maggiore riservatezza e un po’ più di comodità ai pazienti e ai familiari.
“Come si fa a peggiorare facendo un Ospedale nuovo?”, si domanda il marito che attende in piedi da due ore accanto alla lettiga della moglie anziana. La domanda accende la discussione nel corridoio: “Non importava essere ingegneri per far le cose a modo”, risponde un paziente dalla lettiga.
G.R.
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