Funerali delle vittime di via Toscana, Yang Shi in doppia lingua: “L’assenza di italiani e cinesi splendeva sotto il sole. Perché non ci siamo avvicinati al dolore degli altri?”
Pubblichiamo l’intervento di Yang Shi, cittadino italiano di origine cinese, 35enne arrivato in Italia da bambino insieme alla mamma. Yang è un attore, è stato anche inviato speciale per Le Iene su Italia 1, e recentemente si è fatto conoscere per lo spettacolo “Tong Men-g” andata in scena al Museo del Tessuto, nel quale racconta la storia della sua vita e della sua famiglia. Il testo di Yang, scritto insieme a Cristina Pezzoli dello Spazio Compost, vuole essere una riflessione sui funerali dei sei operai cinesi morti nel rogo del Macrolotto, che si sono celebrati sabato scorso a piazzale Ebensee. Alle esequie Yang era presente come traduttore.
Ai funerali degli operai morti nell’incendio del 1 dicembre la folla di cittadini cinesi e italiani che si riteneva avrebbe partecipato, non c’era. L’infelice location in cui si sono svolti – piazzale Ebensee – un lago di asfalto nero sotto il sole a picco, luogo impietosamente impudico per il dolore dei familiari delle vittime – era stata scelta perché i locali della Pubblica Assistenza non sarebbero stati in grado di accogliere la fiumana di persone che si attendeva, basandosi sui numeri di presenza delle due fiaccolate commemorative avvenute dopo il rogo. Colpiva la sproporzione tra la quantità di presenza istituzionale e la scarsezza di quella di comuni cittadini, italiani e cinesi Il piazzale era diviso in due dalle transenne, dentro,davanti al gazebo sotto il quale erano posizionate le sei bare degli operai, Sindaco, diversi Assessori e dirigenti di Comune Provincia e Regione, il Prefetto, il Vescovo e molte persone in divisa di vari corpi militari dello Stato: la Cna, qualche presenza sindacale, i dirigenti della Asl. Per la parte cinese il Consolato generale, il Tempio buddista, la Chiesa cristiana evangelica cinese, alcuni rappresentanti delle Associazioni cinesi di Prato e di Milano. Gonfaloni esposti e la corona inviata dal Presidente della Repubblica portata da due carabinieri in alta uniforme. Fuori dalle transenne , una ventina di italiani a destra, una quarantina di cinesi a sinistra.
Come interpretare questa mancata partecipazione? Difficile individuarne con certezza le ragioni. Forse per motivi banali: le tre del pomeriggio, il caldo; i mondiali, il sabato, il mare…e poi funerali dopo sette mesi…Emozione e indignazione fanno presto a svaporare. Forse per difetti di comunicazione: chi ha coordinato il piano dei funerali per informare i cittadini cinesi? E per gli italiani? Forse per altre ragioni ancora. Per i cinesi: discrezione? superstizione? Paura di riconoscere nel destino di quei connazionali un pericolo quotidiano per se stessi che bisogna ignorare per andare avanti ? Per gli italiani: ostilità verso i cinesi? Indifferenza? Cinismo? Una cosa che in fondo riguarda i cinesi che pensano solo ad arricchirsi e che alla fin fine la tragedia se la vanno a cercare? Per tutti: avvicinarsi al dolore degli altri, ma chi ce lo fa fare?
Guardare il dolore degli altri da vicino, sentire piangere e gridare, vedere chi si dispera di fronte all’implacabile “mai più” che la morte impone separandolo dalle persone care, è un’esperienza emotivamente pesante. Essere presenti, muove emozioni. Costringe a “compatire”, ossia a “soffrire insieme”. Il dolore degli altri così diventa anche roba nostra. Ma non solo per empatia umana, anche per ragioni di responsabilità. Meglio guardare da un’altra parte, andare al mare, andare al bar, continuare a lavorare a testa bassa, ignorando il pericolo, senza farsi venire dei dubbi, senza porsi domande fastidiose che costringerebbero ad assumersi responsabilità e magari ad agire, a cambiare. A fare cose diverse da quelle che siamo abituati a fare.
Chi non c’era – italiano o cinese- aveva sicuramente le sue buone ragioni per non esserci. Futili o importanti. Ma l’assenza della Città (della Polis avrebbero detto gli antichi Greci che sapevano quanto era importante curare il senso di appartenenza dei cittadini ad una comunità) splendeva brutalmente sotto la luce del sole, amplificata dall’estensione del piazzale ed è un segnale su cui vale la pena riflettere.
Se in tanti hanno ritenuto che non fosse poi così importante esserci, o addirittura che fosse meglio non esserci, vuol dire forse che la gravità di quello che è successo è già stata diluita dal tempo, dai sette mesi trascorsi. Significa che non siamo capaci di mettere i nodi al fazzoletto per ricordare abbastanza a lungo che la morte di questi sette operai chiede a TUTTI di cambiare. Cambiare insieme.
Agli operai e ai laoban cinesi che non possono più sottovalutare i rischi di vivere dove si lavora: ieri le figlie di Chuntao davanti alla bara della madre piangendo gridavano “Mamma te lo dicevamo di non lavorare troppo. Non te lo abbiamo detto abbastanza; dovevamo dirtelo di piú!” Se tanti operai e proprietari cinesi fossero stati presenti ad ascoltare queste parole disperate, avrebbero senz’altro dovuto riflettere sul fatto che chi vive nei luoghi dove si lavora , rischia ogni giorno, che gli succeda quello che è successo ai sette operai morti. Migliorare la condizione economica della propria famiglia è importante, ma non fino al punto di esporsi al pericolo di perdere la vita e le persone care per sempre.
Queste morti chiedono di cambiare a quei proprietari italiani e a quelle immobiliari che ai cinesi affittano immobili non sempre a norma, magari a prezzi alti, creando condizioni di rischio di vario genere per chi ci lavora dentro.
A quei committenti nazionali ed esteri che impongono ai laboratori di confezione cinesi prezzi al ribasso, che li strozzano obbligandoli a dover risparmiare i sui costi per restare sul mercato; e rendendosi così oggettivamente corresponsabili nel favorire le condizioni in cui dilaga il lavoro irregolare. E deve sparire quella parte di impresa che confina con il malaffare per cui il profitto è l’unico obbiettivo. Per cui la vita umana non ha valore. Una filiera produttiva da riformare da cima a fondo.
Ma il cambiamento è richiesto anche alle istituzioni che per troppo tempo hanno trascurato di comunicare seriamente con i tanti pezzi della Comunità cinese e che ora devono mandare ad essa messaggi chiari e coesi per un serio programma di cambiamento.
E altrettanto deve impegnarsi a cambiare la comunità cinese, divisa nelle sue tante voci, uscendo dalla passività e dall’isolamento, come ha iniziato a fare in questi mesi, e sviluppando un dialogo con gli italiani, cittadini e istituzioni. Dialogo che sia in grado di passare dalle parole ai fatti. E a considerare questo territorio la propria seconda patria e non un luogo di passaggio di cui continuare ad ignorare le regole.
Sarebbe stata una circostanza importante per condividere insieme al dolore per le vittime, l’inizio di un cammino comune, arduo e lungo di cambiamento per tutti. Per prendersi collettivamente la responsabilità della morte di questi operai, rendere onore alla loro tragica fine con la promessa concreta di assumersi ognuno in prima persona l’impegno di un pezzo del cambiamento.
Ma non é stato così. È un dato di fatto. O almeno, mancava un pezzo essenziale: la presenza e la solidarietà della gente comune.
Ci chiediamo come si potrà cambiare e riportare Prato alla legalità, farla tornare ad essere davvero la città dei diritti, senza il motore nella gente comune, cinese e italiana, di alcune consapevolezze. Come per esempio che all’illegalità prodotta da una parte della Comunità cinese si somma l’illegalità di una parte della Comunità italiana.
Proprio di oggi è la notizia che la fabbrica di Teresa Mode, dove gli operai sono morti, era piena di amianto. Amianto che é stato smantellato in questi mesi e ammucchiato in sacchi con il bollo R- radioattivo. Respirando le polveri di amianto ci si ammala e si muore. Quanti immobili commerciali a Prato sono affittati ai cinesi in queste stesse condizioni fuori norma? Si parla di cifre vertiginose che sfiorano l’80 per cento…. Quanti operai tra alcuni anni scopriranno di essersi ammalati per le condizioni malsane in cui lavorano oggi?
Sabato, alla fine dei funerali erano strazianti le grida e i pianti dei parenti delle vittime che correvano dietro le Mercedes argentate si portavano via le bare con i poveri resti dei loro cari. Una madre cinese mentre inseguiva l’auto che si allontanava con suo figlio morto, è caduta sull’asfalto: sembrava Anna Magnani nel film “Roma città aperta “. Si dibatteva per liberarsi da chi cercava di trattenerla e poi la disperazione della sua corsa, la caduta rovinosa, i vestiti che si scompongono mostrando senza pudore il corpo di una donna di mezza età. Una scena tragica. Una scena d’altri tempi.
Invece era due giorni fa, il 21 giugno 2014 a Prato.
Ma di cosa ragiona questo qui??? la conosce la realtà dei pratesi e dei cinesi a Prato?? Se tu non la conoscessi, ti posso dire che noi pratesi, nonostante ci sia da accreditarci parte della colpa per l’invasione dei cinesi e quindi dell’illegalità presente tuttora nella nostra città, siamo un popolo di buonisti e di persone per bene e non difendentevi sempre dietro la parola “razzisti” perchè è una cavolata e basta! e lo dimostra anche la grande presenza alle due fiaccolate per ricordare i morti in quell’incendio provocato dagli stessi gestori di quella tintoria che vivevano nell’illegalità. Purtroppo caro mio, ancor oggi la grandissima maggioranza delle fabbriche cinese e gli è uguale a quella!!! con loculi/dormitori creati senza alcun permesso, bombole gpl a sfare, sporcizia in ogni angolo degli stanzoni e il tutto a nero!!!!
Francesca
9 anni fa
Complimenti. Una riflessione che interroga la coscienza di tutti, pratesi e cinesi.
Il pratesaccio
9 anni fa
Yang Shi è l’unico cinese che stimo con i suoi servizi divertenti e intelligenti alle iene,speriamo che non si faccia contagiare dagli altri suoi coetanei,occhio yang a combinare casini,fai presto a perdere tuoi fan!!!!!
stefanastro
9 anni fa
Uno dei rarissimi pezzi lucidi apparsi nella stampa locale pratese. Non se ne può più di pratesi che hanno dimenticato il proprio passato e che pensano che il problema principale siano i cinesi, e non se ne può più di cinesi che vivono chiusi nella “via della Cina”.
Ma di cosa ragiona questo qui??? la conosce la realtà dei pratesi e dei cinesi a Prato?? Se tu non la conoscessi, ti posso dire che noi pratesi, nonostante ci sia da accreditarci parte della colpa per l’invasione dei cinesi e quindi dell’illegalità presente tuttora nella nostra città, siamo un popolo di buonisti e di persone per bene e non difendentevi sempre dietro la parola “razzisti” perchè è una cavolata e basta! e lo dimostra anche la grande presenza alle due fiaccolate per ricordare i morti in quell’incendio provocato dagli stessi gestori di quella tintoria che vivevano nell’illegalità. Purtroppo caro mio, ancor oggi la grandissima maggioranza delle fabbriche cinese e gli è uguale a quella!!! con loculi/dormitori creati senza alcun permesso, bombole gpl a sfare, sporcizia in ogni angolo degli stanzoni e il tutto a nero!!!!
Complimenti. Una riflessione che interroga la coscienza di tutti, pratesi e cinesi.
Yang Shi è l’unico cinese che stimo con i suoi servizi divertenti e intelligenti alle iene,speriamo che non si faccia contagiare dagli altri suoi coetanei,occhio yang a combinare casini,fai presto a perdere tuoi fan!!!!!
Uno dei rarissimi pezzi lucidi apparsi nella stampa locale pratese. Non se ne può più di pratesi che hanno dimenticato il proprio passato e che pensano che il problema principale siano i cinesi, e non se ne può più di cinesi che vivono chiusi nella “via della Cina”.