Quelli delle festività natalizie, sono stati giorni da bollino rosso per il pronto soccorso di Prato che si è trovato a gestire una media di quasi 300 accessi giornalieri, 50 in più rispetto al solito. Si spiega anche così il caso dell’anziana affetta da broncopolmonite acuta costretta dalla sera dell’Epifania ad attendere 24 ore su un lettino al pronto soccorso, prima di essere ricoverata (leggi l’articolo).
“Da Santo Stefano ad oggi ci sono stati sei o sette giorni nei quali si è superata quota 300 accessi, con punte fino a 340; numeri maggiori anche rispetto allo scorso anno. Nonostante ciò i tempi di attesa per essere visitati sono mediamente molto buoni e non mi risulta che sia venuta meno la sicurezza” – spiega il direttore del pronto soccorso Simone Magazzini.
A causare l’aumento degli accessi durante il periodo natalizio è stato il picco dell’influenza, che ha costretto al ricovero diversi anziani, e forse anche la cadenza dei giorni festivi sul calendario, che ha portato i pazienti a trovare maggiore difficoltà nei servizi sanitari sul territorio e cercare risposte in ospedale.
Il figlio dell’anziana che ha trascorso 24 ore al pronto soccorso ha fatto emergere un altro problema: il servizio di vitto è limitato a panini, yogurt, the e fette biscottate. “La somministrazione del pasto caldo al pronto soccorso creerebbe dei problemi, perchè va fatta in sicurezza: Sarebbe difficile mangiare su una barella e anche transitare con i carrelli. In casi eccezionali cerchiamo comunque di andare incontro ai pazienti” spiega Magazzini, che chiarisce anche un’altra questione. Il figlio dell’anziana chiedeva se fosse possibile per il 118 trasferire un paziente ad un altro ospedale, diverso da quello di Prato, tipo a Careggi o Pistoia, magari meno affollato.
“Se viene espressa una volontà di questo tipo da parte della famiglia, dobbiamo rispettarla. A meno che non si tratti di un ospedale lontano, ad esempio a Bologna, o che ci sia un rischio di vita, nel qual caso è obbligatorio condurre il malato alla struttura più vicina. Ma andando in un altro ospedale – aggiunge Simone Magazzini – il rischio è di trovare una situazione identica”. E non va sottovalutato l’aspetto clinico: “Pochissime persone che arrivano qui sono al primo ricovero; ci sono anziani che vengono ricoverati tre volte l’anno. Essere ricoverati in uno stesso ospedale garantisce la continuità delle cure e credo che ogni comunità dovrebbe fare riferimento ad un proprio nosocomio”.
D.Z.
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