Da quasi un mese attende di andare agli arresti domiciliari, ma la scarcerazione, nonostante una decisione del giudice, è impedita dall’assenza del braccialetto elettronico e per questo Jalal El Hanaoui, il marocchino di 26 anni sotto processo per istigazione alla jihad su Facebook, è ancora recluso a Prato, in un carcere ad alta vigilanza.
I suoi avvocati, Marco Meoli e Tiziana Mannocci, giudicano “inconcepibile e ingiustificabile” il ritardo nell’applicazione dell’attenuazione della misura cautelare. “A quasi un mese dal momento in cui la Corte di Assise di Pisa, modificando la misura cautelare già in atto, ha disposto gli arresti domiciliari con l’applicazione di strumenti elettronici di controllo, il bradipo statuale non è ancora riuscito a dare attuazione a una decisione di una sua essenziale articolazione”, scrivono i legali, “è indispensabile che sia spiegato perché le decisioni giurisdizionali, una volta assunte, siano destinate a restare lettera morta a tempo indefinito e, soprattutto, i motivi per i quali gli strumenti elettronici di controllo siamo merce rara, non reperibile immediatamente, come civiltà imporrebbe”.
Una situazione che non riguarda solo El Hanoui, concludono Meoli e Mannocci, “ma anche quella nutrita schiera di persone, in gran parte in attesa di processo o con processo in corso, che, presunte innocenti, sono costrette a una forzata permanenza nelle patrie galere in attesa di un intervento del fato”.
Questo soggetto deve rimanere in carcere a vita altro che braccialetto
Il braccialetto registra i movimenti,non le parole ad istigazione,carcere carcere e se possibile in Marocco è lì che deve tornare oppure su un’isola spersa come Napoleone.