La Prato del futuro è in oratorio. Intervista a Corrado Caiano di Sant’Anna sul rapporto con le seconde generazioni e le famiglie musulmane


All’oratorio cittadino di Sant’Anna non si faranno più progetti di integrazione tra italiani e stranieri ma solo attività legate alla convivenza. Nel cortile di viale Piave, dove da anni si incontrano bambini e ragazzi appartenenti a 19 nazionalità diverse, «nessuno si sente straniero e per questo non c’è bisogno di integrarsi», afferma Corrado Caiano, responsabile della struttura insieme alla moglie Sara, in una intervista pubblicata sull’ultimo numero di Toscana Oggi – La Voce di Prato.

«Chi viene qui deve imparare a star bene insieme agli altri – aggiunge Corrado – e vi assicuro che le difficoltà non nascono dalla differenza di lingua, religione e cultura. Dunque i progetti sono pensati per l’età e non per la provenienza». Incontriamo Corrado pochi giorni dopo la strage di Nizza, in un periodo in cui si fa un gran parlare del disagio vissuto dalle seconde (e terze) generazioni di ragazzi stranieri cresciuti senza punti di riferimento e a rischio radicalizzazione.

Ci aiuti a capire il «mondo di Sant’Anna»?
«Vi faccio questo esempio. Lo scorso anno nella scheda di iscrizione all’estate ragazzi ci siamo dimenticati di scrivere la casella dedicata alla nazionalità, è stata una mancanza involontaria, non ci abbiamo pensato. Significa che per le nostre attività non fa alcuna differenza da dove vieni. E non è solo una politica, “accogliamo tutti”, è perché se stai qui ti accorgi che i primi a non fare differenze sono i ragazzi».

Siete un oratorio diocesano, quindi cristiano cattolico. Ci sono musulmani? Come vi comportate con loro?
«Ci sono e sono tanti. La loro presenza è più significativa nei mesi invernali ma vengono anche all’Estate Ragazzi. All’ingresso di Sant’Anna c’è scritto “Ero straniero e mi avete accolto”. Questa frase evangelica spiega bene il senso di quello che facciamo. Questo è un posto del Vangelo, la nostra identità è chiara e proprio per questo accettiamo tutti, senza fare distinzioni. C’è scritto anche: “ti stavamo aspettando”. E riguarda tutti i giovani».

 

 

Le famiglie musulmane mettono dei «paletti»?
«Assolutamente no. Per stare con noi l’iscrizione è obbligatoria, anche i genitori devono firmare il patto educativo con su scritto chi siamo e cosa offriamo. Questa estate una mamma musulmana ci ha chiesto di non far partecipare il figlio alle preghiere in chiesa. Abbiamo accettato. In chiesa non entrerà ma dovrà partecipare alla preghiera quotidiana in cortile. A tutti chiediamo di fermarsi. Chi non vuole recitare le preghiere sta in silenzio e ascolta. Non si può avere il dubbio che il nostro sia un ambiente qualsiasi. È un oratorio cristiano».

Come vedi le seconde generazioni che frequentano l’oratorio?
«Si sentono italiani, anzi pratesi. Sia quelli nati qui, sia coloro che sono arrivati da noi dopo la nascita. Attualmente l’oratorio sta partecipando a un progetto nazionale chiamato “tutta mia la città”, dove i ragazzi stranieri sono chiamati a raccontare come vedono il posto in cui vivono. Ecco, quando abbiamo lanciato l’iniziativa i nostri si sono stupiti, loro non si sentono stranieri».

Allora le problematiche esistono solo nel mondo degli adulti?
«Sì, la colpa è nostra. È di chi non è cresciuto in una società plurale come quella di adesso. Tutto migliorerebbe se fossimo capaci di ascoltare di più i nostri ragazzi, più avanti di noi in questo senso. Se non combiniamo troppi guai, tra dieci anni i bimbi di oggi inizieranno a lavorare assieme, a fidanzarsi e a sposarsi tra di loro e avremo qualche possibilità in più per essere una comunità coesa. Se continua la ghettizzazione tutto questo non avverrà».

Secondo te ciò che sta succedendo in Francia, dove ci sono giovani integralisti nati e cresciuti in quel paese ma che in esso non si riconoscono, può avvenire anche da noi?
«Se riusciremo a non disincentivare l’educazione e la formazione probabilmente avremo qualche problema in meno. Non so cosa faccia la Francia su questo, per esempio spazi come l’oratorio non esistono. Solo condividendo la quotidianità si riesce a star bene insieme».

Servono più oratori in Europa?
«Perché no? Ma non solo. In Siria, ad Aleppo i salesiani stanno facendo l’oratorio estivo tra mille difficoltà, ci sono più di 800 ragazzi. Sono una speranza per quella terra».

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