23 Novembre 2016

Buste paga falsificate per far ottenere permessi di soggiorno, le dipendenti degli studi confessano: “Facevamo quello che ci dicevano di fare”


“Facevo quello che mi dicevano di fare”: così alcune dipendenti degli studi professionali Rosini e Robbi hanno provato a spiegare ai titolari dell’inchiesta “Colletti bianchi” la falsificazione di buste paga e documenti, che servivano a far ottenere a centinaia di cittadini cinesi il rinnovo di permessi di soggiorno. I titolari degli studi – il consulente del lavoro pistoiese Filippo Rosini e il commercialista veneto Alberto Robbi, assieme al socio di quest’ultimo, il 31enne Jimmy Zhong – sono finiti in carcere e si sono avvalsi della facoltà di non rispondere.

Assistite dai rispettivi avvocati, hanno invece chiesto di essere ascoltate e hanno parlato molte delle dipendenti e collaboratrici dei due studi professionali, che figurano tra gli indagati e sono state sottoposte ai domiciliari o all’obbligo di firma. Dai loro interrogatori, condotti dai sostituti procuratori Lorenzo Gestri e Antonio Sangermano, sono emerse conferme sul sistema utilizzato per confezionare le singole pratiche da consegnare in Questura. Gli studi professionali si occupavano di predisporre falsi documenti di assunzione di operai cinesi da parte di aziende intestate a connazionali prestanome. Questi ultimi avevano un doppio vantaggio: oltre ai soldi – fino a 4 mila euro – che l’imprenditore occulto riconosceva loro, le teste di legno potevano ottenere a loro volta il permesso di soggiorno, in ragione della dichiarazione dei redditi, falsa ed esigua, che veniva presentata.
Le indagini del nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza, grazie anche alle intercettazioni a cui sono stati sottoposti gli indagati, mostrano la disinvoltura con cui si muovevano dipendenti e responsabili degli studi, perfettamente a conoscenza dei prestanome a cui sono intestate le ditte cinesi, del meccanismo “apri e chiudi” delle aziende, finalizzato all’evasione fiscale e ad eludere i controlli.

Grazie al materiale sequestrato dai finanzieri e alle dichiarazioni di alcuni indagati, proseguono dunque le indagini, che erano partite da elementi emersi durante l’inchiesta e il processo sulla morte di sette operai cinesi nel rogo della Teresa Moda di via Toscana.
Era proprio lo studio Rosini ad aver offerto la consulenza all’imprenditrice Lin You Lan, occultando la titolarità dell’impresa tramite altri prestanome. Una prassi comune finalizzata ad eludere i controlli, così come la bassa vita media delle imprese orientali: di 5.630 ditte cinesi cessate tra il 1 gennaio 2006 e il 30 giugno 2014, solo 2.929 hanno superato i tre anni di vita, mentre 446 sono state chiuse in meno di un anno, 1.184 in meno di due anni, 1.056 in meno di tre anni.

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