11 Luglio 2017

35 anni fa il trionfo dell’Italia ai Mondiali nel segno di Paolo Rossi: guarda come la città accolse Pablito VIDEO


Trentacinque anni sono tanti, eppure il ricordo di quell’impresa ancora oggi è vivo indelebilmente nella memoria di chi c’era e anche di chi magari non c’era ma col tempo ha imparato a conoscere quello che successe. Un paese intero ebbro di gioia, milioni di persone riversate per strada. Oggi, trentacinque anni fa, l’Italia vinceva il suo terzo mondiale di calcio. Una vittoria che a Prato fu sentita particolarmente perché il sigillo su quell’affermazione lo mise uno dei suoi figli, Paolo Rossi, da allora per tutti Pablito. Il ragazzo di Santa Lucia in quelle poche settimane cambiò per sempre la sua vita. Fece piangere il Brasile, stese la Polonia e mise il sigillo anche nella finale vinta 3-1 con la Germania. Decisivo nei momenti che contano, dopo un avvio più che stentato. Il 1982 gli portò il Mondiale ed il Pallone d’oro. Di ritorno dalla Spagna Prato accolse con una festa di popolo Rossi. Dagli archivi di Tv Prato abbiamo raccolto alcuni estratti di quella giornata col resoconto di Piero Ceccatelli.

 

 

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Piero Ceccatelli
Piero Ceccatelli
6 anni fa

Carissimi,
Oggi molti amici mi hanno segnalato il vostro bel ricordo dei 35 anni dal Mondiale. Rivedendo quelle immagini mi sono commosso davvero. Non per la zazzera presto svanita e per l’età. Ma per il ricordo di momenti bellissimi per l’Italia e per la nostra città. L’una – ma sopratutto l’altra – ottimista, fiduciosa, spesso sfrontata. Comunque capace di realizzare sogni individuali e collettivi. Una città che rispecchiava se stessa in quel giocatore pieno di talento, beccato a violare le regole e capace d’imporsi al mondo. Il capocannoniere dei Mondiali, ma una squadra perennemente in C, metafora di una Prato individualista e incapace di unirsi in qualsiasi impresa collettiva.
Così sfacciata nella sua autostima, quella città, che alle sei del pomeriggio del 12 luglio mise in corso una moneta commemorativa del Mondiale vinto. Lo fece la Cap che nei due anni precedenti aveva coniato una ventina di gettoni del bus firmati da un artista.
Fu una felicità effimera, iniziata a spegnersi sei anni dopo, col crac della banca che accolse Paolo Rossi quel benedetto giorno, tentata forse di rinchiuderlo in un caveau, tanto era il suo valore sullo sfuggente mercato del calcio.
Una città che aveva una televisione povera di mezzi ma che non si tirava indietro se le portavi idee e volontà. “Una tv privata. Privata di tutto”, la definivo col mio sarcasmo. Ma con tecnici di spirito e intraprendenza superiori alle tecnologie sconnesse, alle cassette vhs di partite improbabili che volontari ci recapitavano a diretta in corso e che si riusciva comunque a mandare in onda prima della sigla. Una tv che in 35 anni di temperie e alternarsi di padroni e di sedi ha conservato quel filmato di una città in amore del proprio campione e della propria provvisoria grandeur.
Perché è bello, a volte, ricordarsi di come si stava bene quando si stava meglio.