Tragedia Tignamica, Brezzo (Cgil): “Lavoratori uccisi da una belva a cui i controlli hanno solo spuntato gli artigli”


Colpire la testa e il cuore di un portentoso sistema illegale, quello produttivo cinese a Prato, di cui finora si è aggredito solo le unghie delle zampe, ovvero le 4000 confezioni e i loro “capannoni alveare” di taglia e cuci. La metafora è del segretario della Filctem Cgil Massimiliano Brezzo che in una accorata lettera aperta alla città, alcuni giorni dopo la tragedia di Vaiano, chiede nuovamente controlli più incisivi sugli anelli centrali della filiera del tessile-abbigliamento: i committenti, ovvero i pronto moda che ordinano il tessuto e i capi finiti e le stamperie, tintorie e rifinizioni. Temi che erano già contenuti nel protocollo sulla legalità firmato dai sindacati, industriali e artigiani alcuni mesi fa, di cui lo stesso Brezzo fu promotore (leggi il documento). Di seguito la lettera aperta del sindacalista.

Pensiamo che sia utile, in questo momento, far sentire la nostra voce più compiutamente di quanto fatto sabato scorso, a caldo. Perché pensiamo che dopo il momento del cordoglio debba esserci quello della analisi e della proposta.
La nostra vicinanza e il nostro cordoglio, che rinnoviamo, va alle famiglie di due persone, due lavoratori, che non sono stati uccisi da un “incendio”, ma da un sistema illegale che non è stato contrastato a sufficienza.
È necessario che chi di dovere prenda atto della realtà per come è: siamo, da anni, di fronte a un “sistema”, e non a 4000 aziende che operano liberamente sul mercato e che, in base a scelte individuali decidono se lavorare legalmente o meno, e che, di conseguenza, sarebbero da contrastare singolarmente.
E altrettanto palese che la forza di questo sistema è data dalla sua capacità di produrre, illegalmente, una ricchezza enorme, con la quale l’illegalità viene finanziata per produrre nuova ricchezza e, di conseguenza, nuova illegalità.
Ad oggi, questo circolo vizioso, malgrado gli sforzi e gli interventi fatti, non è stato minimamente rallentato. Questo perché è mancata un’analisi e una strategia che affrontasse il problema da un punto di vista sistemico e, di conseguenza, produttivo.
Per questo, lo scorso inverno, abbiamo, per l’ennesima volta, denunciato le condizioni di lavoro nel sistema e abbiamo promosso un protocollo tra tutte le forze produttive e sociali che facesse un’analisi condivisa e la mettesse per iscritto, proponendo gli interventi relativi, per profilare una possibile soluzione.
Già da sei mesi queste cose sono scritte su un protocollo condiviso, che siamo andati a presentare a tutti gli organi di controllo, ed è a disposizione di tutti. E che consigliamo di rileggere, anche alla luce della tragedia di sabato.
Per sintetizzare il protocollo, descriveremo il sistema illegale e la sua filiera produttiva con una metafora.
Immaginiamo di essere davanti a una belva feroce, per sua natura molto scaltra. Una belva che si nutre della ricchezza illegale e che per molto tempo è stata considerata solo ladra, ma che si è dimostrata assassina.
Questa belva ha una testa: i committenti dell’abbigliamento che ordinano il tessuto e i capi finiti; un cuore che pompa linfa vitale a tutto il corpo: le stamperie, le tintorie e le rifinizioni; e le zampe: le 4000 aziende di confezioni che, sul territorio, tagliano e cuciono i capi (tutte, singolarmente, sacrificabili per il sistema).
Si è interpretato che fossero stati gli artigli di queste zampe (impianti elettrici manomessi, dormitori, bombole del gas etc,) a causare la tragedia di via Toscana. E si è intervenuti per strappare gli artigli alla belva. Cosa meritoria, che ha anche raggiunto l’obbiettivo, almeno fino ad oggi, di non dover più piangere morti all’interno dei capannoni produttivi.
Sembrava che questo avesse prodotto delle zampe senza artigli (capannoni senza dormitori e affittacamere abusivi) ma comunque senza ridurre il numero delle zampe, che sono rimaste 4000. Oggi invece ci accorgiamo che le zampe sono addirittura aumentate, perché la belva, scaltra, si è messa qualche guanto che non ci fa più scoprire gli artigli (impiantando le aziende dentro gli appartamenti).
Oggi noi ribadiamo che non ci possiamo permettere di sbagliare obiettivo, magari cercando le modalità di scoprire i guanti. Bisogna colpire la belva al cuore e alla testa. E ridurle il cibo. E questo è quello che dice il protocollo.
Il grosso della capacità di produrre ricchezza, il cibo della belva, è dato dal lavoro nero, mancate retribuzioni e mancate contribuzioni. Il flusso produttivo passa dal cuore, poche aziende di tintoria, stamperia e rifinizione dal quale è certamente passato anche il tessuto che alimentava le taglia e cuci dell’appartamento della Tignamica. Nel protocollo abbiamo denunciato uno sfruttamento del lavoro su base etnica e abbiamo chiesto controlli specifici, preceduti da operazioni di intelligence ed eseguiti da squadre interforze che verifichino i rapporti di lavoro. Con l’obbiettivo di obbligare queste aziende alla regolarizzazione della manodopera e al pagamento delle retribuzioni e contribuzioni previste.
E contestualmente il protocollo indica di colpire la testa, i committenti. Infatti da controlli eseguiti nelle modalità proposte emergerebbero chi sono i committenti e a questi andrebbe richiesto, in quanto responsabili in solido con le tintorie etc, le retribuzioni e le contribuzioni non versate. Cosa prevista per legge e suggellata dalla nostra vittoria in una causa pilota presso il Tribunale di Prato.
Questa strategia, se attuata, colpirebbe il sistema nelle sue parti più sensibili e quindi, per la prima volta, nella sua capacità di produrre ricchezza illegale. La conseguenza sarebbe la riduzione dei volumi della produzione illegale e l’attivazione di un processo di selezione virtuosa che, con l’aumento dei costi imposto toglierebbe nutrimento al sistema illegale e metterebbe “fuori mercato” le aziende che sono in grado di lavorare solo per quello.
Ciò garantirebbe che quella parte del sistema dell’abbigliamento disponibile a operare nelle regole e in grado di competere sul mercato legale (una ristretta minoranza delle attuali 4000 aziende attuali) possa, finalmente, provare a farlo senza essere soffocato dalla concorrenza illegale.
Forse l’analisi del protocollo, firmato da sindacati, industriali e artigiani, è completamente sbagliata, e quindi lo sono anche le proposte. Ma questo ad oggi non ce l’ha detto nessuno. Se invece l’analisi ha un suo fondamento, non sarebbe bene tenerne conto?

Massimiliano Brezzo, Filctem Cgil Prato

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