15 Marzo 2018

Ecco perchè la mafia cinese di Prato non era mafia: le motivazioni della sentenza del Riesame


Al di là della carenza di indizi in ordine ad alcuni reati fine, dalle contestazioni “non appare desumibile la sussistenza di alcuna struttura qualificabile come associazione di tipo mafioso e non appare anzi neppure possibile individuare indici sintomatici di un’ordinaria associazione per delinquere”. È uno dei passaggi chiave della sentenza con cui il Tribunale del Riesame ha negato l’esistenza della mafia cinese a Prato e liberato la maggior parte degli indagati finiti in carcere nell’ambito dell’inchiesta China Truck, che vede 44 cittadini cinesi indagati per associazione a delinquere di stampo mafioso.
Il provvedimento, depositato nei giorni scorsi e che con ogni probabilità sarà impugnato dalla Dda in Cassazione, smonta l’impianto dell’accusa: secondo il Tribunale del Riesame di Firenze non sono state ravvisate nelle carte dell’inchiesta prove della forza intimidatrice e del presunto potere di assoggettamento da parte degli indagati nei confronti della comunità cinese di Prato. C’è di più: non sarebbero presenti, secondo la corte presieduta dal magistrato Lidio Genovese, neppure i crismi di un’associazione a delinquere: “Sono singoli episodi delittuosi o attività delittuose anche di maggiore ampiezza ma riferibili a specifici soggetti, di volta in volta individuati, e non una pluralità di concorrenti e con il carattere di una certa costanza, così da consentire di desumere un programma delittuoso comune ad almeno tre persone”.

Per quanto riguarda lo stesso Zhang Naizhong, ritenuto dagli inquirenti il “capo dei capi” e assistito dall’avvocato Melissa Stefanacci, i reati fine che gli vengono contestati (un’estorsione, un’ipotesi di esercizio abusivo di attività finanziaria, un delitto di usura e un favoreggiamento personale) non hanno profili strumentali alle finalità di un’associazione di tipo mafioso, nè risultano “sintomatici della sua particolare forza d’intimidazione”. Per Zhang Naizhong i giudici del Riesame hanno attenuato la misura cautelare, dal carcere agli arresti domiciliari, ritenendo sussistenti i gravi indizi di colpevolezza per il solo reato di usura, per essersi fatto promettere da un connazionaale, nel 2011, interessi usurari pari al 24% annuali su un prestito di 30.000 euro.

Quanto alle telefonate intercettate, nelle quali Naizhong si auto-definiva “mafioso”, circondato da “fratelli” disposti ad ammazzare le persone per essergli fedele, il Riesame ha accolto i rilievi linguistici avanzati dalla difesa che ha prospettato un errore di traduzione della parola “mafia” dal cinese.
“Nella traduzione prodotta dai difensori dell’indagato è stato fatto valere che il termine cinese ‘le dou’, tradotto in italiano come ‘capo’, avrebbe vari significati, riferiti anche solo all’essere la persona così chiamata quella più anziana o più autorevole, e la parola realmente pronunciata tradotta in ‘mafia’ sarebbe in realtà non ‘hesewai’ (appunto mafia), ma ‘sewai’, che starebbe per società”.

Nella sua scalata imprenditoriale nel settore dei trasporti, Zhang Naizhong, secondo l’accusa avrebbe messo in atto condotte intimidatorie, attraverso suoi sodali, nei confronti di imprenditori concorrenti, costrette a svendere le loro quote o ad abbandonare alcune tratte. Anche in questo caso il Riesame ha ritenuto insufficienti gli elementi di prova raccolti e in nessun caso ha comunque ritenuto possibile “riferire all’associazione criminosa facente capo a Zhang Naizhong i singoli episodi delittuosi attraverso i quali la stessa associazione si sarebbe affermata ai danni di imprese concorrenti”.
Quanto all’influenza nella comunità cinese e al ruolo di arbitro delle controversie esercitato da altri indagati, fra cui Lin Guochun detto Laolin e Xue Bin detto Xiaoliao, intervenuti come pacieri o mediatori per aggressioni o altri contrasti, secondo i gudici del Riesame si tratterebbe di interventi esplicati “in ragione della considerazione e forse anche del timore che ciascuno di detti soggetti individualmente ispirava nell’ambito della comunità”. Ma quanto è emerso, è apparso “molto poco significativo del controllo che si ipotizza realizzato per anni da un gruppo organizzato di tipo mafioso su un’intera comunità”.

D.Z.

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