La luminosità dell’Ultima cena di Giorgio Vasari del Cenacolo di Santa Croce, con il meccanismo che ne garantisce la rapida messa in sicurezza in caso di emergenza in 9-11 secondi, è il simbolo del definitivo superamento delle profonde ferite dell’alluvione del 1966.
Il restauro dell’Ultima cena è stato una sorta di miracolo, a cui hanno contribuito competenze eccezionali e scelte tecnologiche innovative. La grandiosa tavola (larga circa 5 metri e 80 centimetri e alta 2 metri e 60 centimetri) è stata collocata nel Cenacolo nel 2016, dopo un complesso intervento di recupero durato oltre dieci anni. È stato curato dall’Opificio delle pietre dure, sotto la direzione di Marco Ciatti e Cecilia Frosinini, e finanziato dalla Protezione civile, dalla Getty Fundation e da Prada.
La protezione dell’Ultima cena è garantita da un meccanismo progettato da Sertec sas e dalla struttura tecnica dell’Opera di Santa Croce, in collaborazione con GeoApp, spin off dell’Università di Firenze. In caso di emergenza una sola persona, semplicemente abbassando una leva, è in grado di provvedere a mettere in sicurezza la tavola, che pesa 600 chilogrammi, sollevandola di 3 metri e mezzo per raggiungere i 6 metri di altezza, quota che supera di un metro il battente dell’alluvione del 1966. Viene attivato un sistema di contrappesi con carrucole, mentre è stata scartata l’ipotesi di utilizzo di apparecchiature elettriche o elettroniche per evitare il rischio di interruzione di energia elettrica.
La struttura lignea di contenimento del dipinto è stata dotata di un telaio metallico al quale sono ancorate delle barre estensibili la cui estremità è fissata alla parete del cenacolo mentre due catene collegano l’opera con il contrappeso posto sulla parete esterna del cenacolo. Il sistema esterno di ingranaggi meccanici, infine, è dotato di un blocco di sicurezza del contrappeso per mantenere in posizione espositiva il dipinto e di un sistema frenante. In caso di sollevamento del dipinto, il sistema frenante consente di ridurre progressivamente la velocità del movimento fino a fermare bloccare in posizione elevata.
Per garantire ulteriormente la protezione della tavola, sul suo retro, l’Opificio ha realizzato una scatola di stabilizzazione climatica per prevenire eccessivi movimenti del legno e permettere una migliore conservazione degli strati pittorici.
Nel novembre 1966 la tavola, composta da cinque pannelli di pioppo, era esposta nel Museo dell’Opera di Santa Croce dove rimase, per ore e ore, immersa nell’acqua e nel fango. L’oltraggio sembrava irrimediabile. A scongiurare le estreme conseguenze fu l’intervento di Umberto Baldini, allora direttore del Laboratorio di restauro della Soprintendenza, che prevedendo l’irreparabile distacco del colore, a causa del rigonfiamento e della successiva contrazione del supporto in legno, decise di portare la tavola nella Limonaia di Boboli. Qui, dopo aver protetto immediatamente i colori con una velinatura, venne assicurato un processo di asciugatura graduale e quindi meno rischioso per la tenuta dell’opera che comunque subì danni pesantissimi.
Guarda il video con le immagini della prima esercitazione di salvaguardia dell’Ultima cena con le interviste a Giuseppe De Micheli, segretario generale dell’Opera Santa Croce, e a Elvezio Galanti, già dirigente generale del Dipartimento di protezione civile