9 Gennaio 2020

Stasera debutta al Fabbricone “Nostalgia di Dio” di Lucia Calamaro


Presentato in prima assoluta nel mese di luglio alla Biennale di Venezia, nuovo testo e ultima regia di Lucia Calamaro, “Nostalgia di Dio” arriva al Teatro Fabbricone da oggi, giovedì 9 gennaio, a domenica 12 gennaio, coprodotto dal Teatro Stabile dell’Umbria e Teatro Metastasio di Prato in collaborazione con Dialoghi – Residenze delle arti performative a Villa Manin 2018-2019 (20.45 feriali, 19.30 sabato, 16.30 domenica). “Autrice di un teatro di parola che nasce sulla scena e che richiede ai suoi attori di essere ‘atleti della parola’, capaci di affrontare temi universali attraverso storie personali”, in “Nostalgia di Dio” Lucia Calamaro fa agire in una scena quasi del tutto spoglia quattro protagonisti: una coppia scoppiata, un sacerdote e una donna amica di tutti che desidera con tutte le sue forze avere un figlio. Le vicende della trama sono poche, piccole, quotidiane – una partita a tennis, una cena tra amici, un pellegrinaggio notturno alle 7 Chiese di Roma – ma un parlare quotidiano, naturalista, che si arrovella su sé stesso fino a scoprire nervi, muscoli, ossa e profondità insondabili dà sostanza alla dinamica relazionale che lega i protagonisti e rivela/nasconde la trita triste banalità dei rapporti di vita quotidiana e metafisica e l’incessante ricerca di qualcos’altro, di qualcuno, di altro. È la nostalgia di Dio, ma anche quella di casa, degli affetti, delle relazioni che resistono al tempo e alle crisi, alle nevrosi, i fallimenti, le diverse aspettative. “Nostalgia di casa. Questo potrebbe essere l’altro titolo di questo spettacolo – afferma la Calamaro -, in quanto per me, la casa sono gli affetti, e gli affetti sono l’unica dimensione rimasta che mi rapporti al sacro. Nel bene voluto, risiede il mistero. È nel legame, nel bisogno dell’altro, la meraviglia. C’è lì, nella casa, un’energia invisibile ma concreta, inafferrabile e solida: io so che c’è, anche se non la vedo. Ed è una delle poche cose certe che ho. Ogni volta che torno a casa, io mi sento come se tornassi all’ infanzia. Ma non a una fase qualunque dell’infanzia, ma alla fase dell’onnipotenza, quella dei primissimi anni. A casa mia, in questo habitat benevolo, io credo di potere tutto e una parte di me, bambina, si rilassa, si libera, respira e si sparge in giro. Forse questo passaggio succede a tutti, quando tornano a casa. O forse no. Forse è una dimensione del nostos, del ritorno dell’Eroe. Chissà. Non so, non saprei, ma mi piace pensarlo. Il mondo ci limita, la casa ci accoglie e ci espande. Ed è in questa fioritura potente e affettuosa, che nascono i figli. Che sono per me l’altra domanda su cui si annoda, senza scioglierla, questo spettacolo. I figli da piccoli in particolare, in quanto piccoli Dei onnipotenti. Influenzata dalla favola che ci hanno raccontato, illustrata dalle infinite madonne con bambino, il mio immaginario cattolico infantile – che è l’unico che ho, come probabilmente molti di noi che poi da grandi hanno lasciato perdere- si è ancorato lì. È lì, prima dei 10 anni, su quelle immagini, che l’impressione indelebile mi si è formata: quella di un Dio bambino, visto dalla prospettiva della madre. Insomma Dio, per me, è più un figlio che un padre. Un figlio se non proprio dio quantomeno onnipotente. Questo è secondo Freud quello che tutti noi siamo per un breve periodo. Come non volerci tornare? Nostalgia di Dio quindi si muove in questo strano crocicchio tra la nostalgia di casa e la nostalgia dell’infanzia onnipotente, che mi è maturato dentro ultimamente, senza capirlo ancora del tutto. Tutti i bambini sono figli. Dio è un bambino. Dio è un figlio. Tutti i figli sono Dio? Chissà. Comunque sia, una cosa si sa: per le madri, i figli, non crescono mai.

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