27 Maggio 2020

Caporalato nelle ditte edili, il racconto delle vittime nelle carte dell’inchiesta


Dispositivi di sicurezza insufficienti o del tutto assenti. Operai reclutati facendo leva sul loro stato di bisogno e fatti lavorare dai 5 ai 10 euro l’ora con la promessa dell’assunzione, salvo poi procedere con periodi di prova o lavoro nero. Sono le storie di alcune delle vittime del sistema di caporalato, contestato ad 11 persone finite in carcere ieri nell’ambito dell’inchiesta Cemento Nero, coordinata dal sostituto procuratore Lorenzo Gestri.
I promotori dell’associazione a delinquere individuati dagli investigatori della squadra mobile sono tre: Vincenzo Marchio, 45enne originario di Crotone, legale rappresentante della Eurocostruzioni 75 Srl, e due fratelli egiziani: Sabri e Said Ahmed Eid, rispettivamente 39 e 41 anni, succedutisi alla guida della ditta Novaedil Srl. Nella propria ordinanza, il gip Costanza Comunale ha motivato che nelle condotte degli indagati sono ravvisabili tutti gli indici di sfruttamento previsti dal nuovo articolo 603 bis del codice penale che disciplina il “nuovo” reato di caporalato: retribuzioni difformi dai contratti di lavoro, reiterate violazioni delle normative su orari, riposo, ferie, violazioni delle normative in materia di sicurezza e igiene sui luoghi di lavoro, e sottoposizione del lavoratore a condizioni, metodi di sorveglianza o situazioni alloggiative degradanti.
In particolare – come riferito da una delle presunte vittime – era messa a disposizione degli operai una casa di sei stanze a Quarrata, in cui trovavano posto fino a 10 persone per volta, previa decurtazione di 150 euro al mese rispetto al compenso pattuito. Gli indagati, fra cui alcuni dipendenti delle due ditte edili, si occupavano anche del trasporto degli operai dalle loro abitazioni ai cantieri, una trentina in oltre due anni di attività, sparsi in Toscana e anche fuori regione. Su un furgone da 7 posti – ha raccontato un operaio – si saliva anche in dieci persone.
“Lo sfruttamento del lavoro – è scritto nelle pagine dell’ordinanza di custodia cautelare – viene sistematicamente perseguito e realizzato mediante l’impiego di maestranze prive di contratto di lavoro, sprovviste di copertura assicurativa e previdenziale”.
Tra le telefonate intercettate, ce n’è anche una nella quale il responsabile della sicurezza di un cantiere a Casalguidi, dopo aver scoperto irregolarità nella gestione delle maestranze, chiama Said per lamentarsi della situazione trovata in cantiere e afferma: “…gente che non si conosce, due-tre imprese, gente con il Durc scaduto, non si capisce nulla”, per poi raccomandarsi di provvedere a mettere tutto a posto, puntualizzando che da quel momento sarebbe spettato a lui decidere l’ingresso o meno in cantiere degli operai. Nei racconti degli operai ci sono poi passaggi alle dipendenze di diverse società, senza esserne stati messi al corrente.
Secondo la ricostruzione degli inquirenti, i pagamenti a nero avvenivano in contanti o tramite accrediti su poste pay; spesso le aziende facevano uso di buste paga fittizie, su cui figuravano solo una parte delle ore lavorate o che servivano per ottenere il rinnovo del permesso di soggiorno. Le vittime dello sfruttamento lavorativo, fra cui anche operai italiani, hanno riferito di aver accettato lavoro nero e paghe basse, pur di lavorare dopo mesi di inattività, per mantenere le rispettive famiglie. I manovali hanno riferito anche misure di sicurezza inadeguate: in alcuni casi nei cantieri mancavano cuffie antirumore, occhiali, imbracature e le scarpe infortunistiche si dovevano portare da casa.

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