11 Giugno 2020

Truffa ai danni dello Stato e sfruttamento del lavoro per fabbricare 100 milioni di pezzi di mascherine: 13 arresti e 90 operai irregolari


Dietro al business delle mascherine da fornire alla protezione civile e alla Regione Toscana c’erano 28 confezioni cinesi, ditte individuali di Prato nelle quali si celavano lavoro nero, operai clandestini, laboratori-dormitorio. A tirare le fila dell’affare era il GRUPPO Y.L, un’azienda di abbigliamento riconducibile a due fratelli di origini cinesi ben radicati nel territorio. L’azienda – che dà lavoro a 25 dipendenti, molti dei quali italiani – durante l’emergenza coronavirus si era riconvertita alla produzione di dispositivi medici, rendendo pubblica a fine marzo questa scelta attraverso una nota stampa. Il GRUPPO Y.L aveva poi acquisito commesse pubbliche per un totale di 45 milioni di euro. I contratti prevedevano la fornitura di 93 milioni di mascherine alla protezione civile nazionale e di 6,7 milioni di pezzi alla Regione Toscana, tramite Estar. Per conquistare la maxi-commessa, la società avrebbe falsamente dichiarato ad Estar – nel documento di gara unico europeo acquisito dagli investigatori – l’assenza di subappaltatori. Il sospetto degli inquirenti è che le ditte cinesi poi incaricate della realizzazione delle mascherine non fossero in possesso dei requisiti fissati dal codice degli appalti.
Falsa sarebbe stata anche la dichiarazione circa l’inesistenza di pendenze con il Fisco, requisito indispensabile per poter contrattare con la pubblica amministrazione.
Gli accertamenti hanno consentito di appurare che le 28 confezioni subappaltatrici erano spesso intestate a prestanome, facevano largo impiego di lavoro nero e violavano le norme sulla sicurezza sui luoghi di lavoro. Nel corso delle perquisizioni di oggi sono stati ben 90 gli operai clandestini individuati nei 28 laboratori orientali. Tredici titolari di fatto o di diritto delle ditte, sorpresi sul fatto ad impiegare più di tre lavoratori privi del permesso di soggiorno, sono stati arrestati per il reato di impiego di manodopera clandestina.

Secondo quanto ricostruito dalla Finanza, l’Istituto superiore di sanità, nella prima fase emergenziale, avrebbe espresso, in ragione della mancata rispondenza ai requisiti previsti, parere non favorevole alla produzione e commercializzazione di mascherine che, nonostante ciò, sarebbero state poi comunque cedute alla stessa ESTAR.
Sono in corso ulteriori accertamenti riguardo alle ricche commesse ricevute dalla Protezione Civile. Tuttavia, le fiamme gialle sottolineano che, a causa dell’impossibilità di far altrimenti fronte alle serrate scadenze di consegna, parte delle mascherine fornite non sarebbero conformi a quanto pattuito ed ai requisiti previsti per i dispositivi medici.
Le indagini, che proseguono, riguardano anche la posizione di altre due società con sede nella provincia di Firenze, gestite da soggetti italiani ed in stretti legami di collaborazione con l’azienda pratese, destinatarie anch’esse di commesse pubbliche, nel cui contesto si sospettano analoghe criticità.
I reati complessivamente ipotizzati sono, a vario titolo, quelli di intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, favoreggiamento e sfruttamento dell’immigrazione clandestina, violazioni alla sicurezza sui luoghi di lavoro, violazioni al codice degli appalti, frode nelle pubbliche forniture e truffa ai danni dello Stato.
La Protezione Civile ed ESTAR (per conto della Regione Toscana), parti lese, stanno pienamente collaborando con l’Autorità Giudiziaria inquirente.


Nel corso dell’operazione sono stati sequestrati milioni di mascherine, la cui consegna alla Protezione Civile era in programma nella giornata di domani. Sono stati sequestrati inoltre numerosi macchinari non a norma, oltre a 75.000 euro in contanti.
I finanzieri stanno inoltre procedendo al sequestro preventivo, finalizzato alla confisca, dei conti correnti e dei beni riconducibili all’azienda indagata ed ai suoi rappresentanti, fino alla cifra di 3,2 milioni di euro, pari ai corrispettivi ricevuti da ESTAR.
Le indagini sono partite da un’altra inchiesta relativa a due delle 28 aziende subappaltatrici, il cui imprenditore occulto era tenuto sott’occhio perchè già titolare di fatto, nei mesi passati, di una confezione in cui erano state rilevate moltissime irregolarità: 23 connazionali impiegati a nero, di cui 15 clandestini; turni di lavoro, in media, di 13/16 ore giornaliere in condizioni degradanti e di pericolo; vie di fuga ostacolate dal materiale, con l’uscita di emergenza bloccata dall’interno e non rapidamente raggiungibile. Secondo quanto ricostruito dai finanzieri i lavoratori sfruttati non avevano diritto a riposi festivi ed interrompevano il loro lavoro con brevi pause di circa 10/15 minuti in coincidenza con la consumazione dei pasti, in assoluta promiscuità nel medesimo locale produttivo, in mezzo a polveri e residui di scarti industriali. I laboratori fungevano anche da dormitori, con posti letto situati in locali privi dei requisiti di abitabilità e di dimensioni inferiori alle norma (la camera da letto di un operaio era perfino stata ricavata in un bagno). A questa azienda erano subentrate le due ditte subappaltatrici, gestite con modalità simili, le quali si erano messe a cucire le mascherine poi distribuite dalla Regione e dalla protezione civile.

Tv Prato ha provato a contattare il GRUPPO Y.L per conoscere la versione dei fatti e la posizione dell’azienda, che al momento preferisce non rilasciare dichiarazioni.