2 Dicembre 2020

Covid, aumentano le denunce di infortunio all’Inail. Grido d’allarme della Cgil: “Mancano tutele per i lavoratori, ancora positivi, fatti uscire dall’isolamento”


Aumentano le denunce all’Inail per infortuni sul lavoro da Covid, tecnicamente l’aver contratto il virus durante l’attività lavorativa. A settembre di quest’anno erano 395 le denunce registrate in provincia di Prato: al 31 ottobre sono diventate 523, 128 in più, con un incremento percentuale, rispetto al mese precedente, pari quindi al 32%.

Numeri in costante crescita ormai dagli inizi di giugno, che fanno piazzare Prato al secondo posto in Toscana alle spalle di Firenze e che preoccupano il segretario generale della Cgil di Prato Lorenzo Pancini. Già a inizio novembre il sindacato, in accordo con Cisl e Uil, aveva chiesto un incontro al prefetto Lucia Volpe, ricevendo ampia disponibilità, per valutare la situazione con Inail e Inps.

L’incremento maggiore di denunce per Covid-19 sul luogo di lavoro si è avuto tra gli adetti d’età compresa tra i 18 e i 34 anni, passate da 58 del mese di settembre a 92 in ottobre; ad ogni modo i lavoratori maggiormente colpiti hanno tra i 35 e i 49 anni (per un totale di 210 denunce) e tra i 50 e i 64 anni (ad ottobre 211 denunce). Il settore più esposto è quello della “sanità e assistenza sociale”, che incide per il 66,4%.

Ma a preoccupare ancor di più Pancini è il venir meno delle tutele per quei lavoratori, contagiati sul luogo di lavoro, che dopo 21 giorni di isolamento, pur risultando ancora positivi, vengono fatti uscire dalla quarantena dal dipartimento di Igiene Pubblica della Asl se risultano asintomatici negli ultimi sette giorni: l’Inail per loro – spiega la Cgil – non riconosce più l’infortunio. Allo stesso tempo però questi stessi lavoratori non possono rientrare nei luoghi di lavoro, né possono essere collocati, in molti casi, in smart working. “C’è un vuoto normativo – denuncia Pancini – che va colmato e che si traduce in mancata copertura retributiva e contributiva”.

La Cgil consiglia comunque ai lavoratori contagiati di fare denuncia, se non al momento entro i tre anni previsti, «anche perché – annota Pancini – non sono chiare le conseguenze sulla salute di chi contrae il virus».

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