9 Giugno 2021

Operazione “Tex Majhong”, arresti e sequestri in varie parti d’Italia: 10mila tonnellate di rifiuti tessili raccolti “a nero” nell’hinterland pratese e stipati in capannoni dismessi FOTO


Nella mattinata odierna è scattata l’operazione “TEX Majhong”, inchiesta diretta dal Procuratore Capo di Firenze Dott. Giuseppe Creazzo e coordinata dal sostituto Procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia Leopoldo De Gregorio che sta portando all’esecuzione di otto ordinanze di misura cautelare, perquisizioni e sequestri emesse dal gip del Tribunale di Firenze tra le Province di Prato, Pisa, Bassano del Grappa e Pesaro Urbino.

Le attività di indagine sono state effettuate dalla Sezione di P.G. della Procura- Aliquota Polizia Provinciale, diretta dal commissario Alessandro Bonucci, congiuntamente alla Polizia Municipale di Prato, con gli ispettori Michele Maionchi e Daria Malagigi.

Trentaquattro gli indagati a cui vengono contestati reati a vario titolo. I più gravi, associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di rifiuti su tutto il territorio nazionale e traffico transfrontaliero di rifiuti verso paesi dell’unione europea vengono rivolti nei confronti di soggetti italiani e cinesi.

Il provvedimento si basa sui gravi indizi di colpevolezza acquisiti durante l’indagine, convenzionalmente definita “ TEX Majhong”, in ragione proprio dell’analogia mostrata dai consociati criminali con il famoso gioco d’azzardo di origine cinese, che ha previsto ogni volta l’aggiustamento delle tessere in varie combinazioni e riorganizzazioni al fine di scongiurare l’attività via via intrapresa della polizia giudiziaria per contrastare la gestione degli scarti tessili raccolti illecitamente dalle aziende di Prato.

E’ un mosaico complesso, quello che emerge dalla lettura del provvedimento a firma del GIP del Tribunale di Firenze, Dott. Piergiorgio Ponticelli, dove la prima tessera risulta composta dagli accertamenti svolti nell’anno 2018 dalla Polizia Municipale di Prato, relativi al rinvenimento di etichette di abbigliamento, provenienti da ditte del proprio territorio, all’interno di cumuli di rifiuti abbandonati a Cascina, in Provincia di Pisa.

Grazie al lavoro degli investigatori del nucleo investigativo/ ambientale della Polizia locale di Prato è stato così individuata un prima triade criminale, composta da 3 soggetti, due italiani ed una donna cinese, che si occupavano della raccolta dei rifiuti presso i vari pronto moda e confezioni di abbigliamento dell’hinterland pratese, mediante un apposito servizio di ritiro “porta a porta” dove, se eventualmente inconsapevole poteva essere l’affidamento dei propri scarti di lavorazione a soggetti privi di autorizzazioni (i mezzi utilizzati per il trasporto erano spesso privi di Iscrizione all’albo Nazionale Gestori Ambientali e venivano utilizzati timbri di ditte fittizie), di sicuro non lo era l’evasione fiscale derivante dal metodo di pagamento previamente concordato. “Tutto fattura? Mezzo e mezzo?” Chiedono ordinariamente tali soggetti nelle varie intercettazioni agli interlocutori delle ditte cinesi produttori dei rifiuti. Contabilità parallela confermata dai vari quadernoni di appunti manoscritti, con copertine multicolorate, anche in lingua cinese , rinvenuti durante le perquisizioni eseguite a carico degli indagati che affiancavano in tutto e per tutto la documentazione “ufficiale”.

L’attività successiva, fatta di intercettazioni, appostamenti, pedinamenti, tracciatura dei mezzi mediante apparati satellitari ha portato gli investigatori all’individuazione di due filoni di smaltimento parallelo, uno sito nelle Marche e l’altro in regioni del Nord Italia; comune denominatore l’individuazione di capannoni industriali dismessi, siti in luoghi appartati per i quali veniva corrisposto il canone di locazione solo per i primi mesi e dove quindi gli scarti tessili, fatti viaggiare con documentazione che attestava “magicamente” la perdita dello status di rifiuto, senza che in realtà gli stessi fossero stati sottoposti ad alcuna delle attività previste dalla normativa, quali la cernita selezione ed igienizzazione, venivano ivi abbandonati.

Viaggi complessi, attraverso direttrici stradali secondarie al fine di evitare i possibili posti di controllo da parte delle Forze di Polizia: “ Cioè vale a dire che non sono zone, queste qui, queste sono zone ad alto rischio per mille motivi. Poi tu devi attraversare due o tre paesi prima di arrivare là, con un camion pieno di roba in R13, cioè…Con un DDT fittizio, ma dove vuoi andare? “ dice uno degli indagati al proprio interlocutore, dopo aver effettuato lo scarico dei rifiuti in un immobile in disuso, un ex mobilificio all’asta, raggiunto con non poche difficoltà dopo aver evitato alcune pattuglie all’uscita dell’autostrada.

Affari spregiudicati, che hanno seguito l’esigenza dell’esuberante produzione della moda cinese “made in Italy” in cui i famosi “sacchi neri” contenenti gli scarti di lavorazione devono essere velocemente allontanati, ritirati al prezzo migliore ed indirizzati a chi primo fornisce uno sbocco per lo smaltimento.

Anche a costo di dover trasbordare i rifiuti sulla strada, così come avvenuto a seguito del sequestro avvenuto sul primo punto di illecito stoccaggio intermedio individuato in provincia di Prato che ha costretto il sodalizio ad operare all’interno di piazzali pubblici dove veniva fatto convergere l’autotrasportatore di turno; da qui il viaggio verso i capannoni siti in Provincia di Pesaro ed Urbino avveniva pertanto mediante il sistema della “doppia documentazione” dove all’autista veniva fornito sia in un DDT (genericamente utilizzato nel caso di merce) che un formulario (documento previsto per il trasporto dei rifiuti), questo ultimo da esibire solo in caso di controllo ed il più delle volta “fatto sparire” al momento dell’arrivo al sito di destinazione.

Diecimila tonnellate di rifiuti speciali costituiti da scarti e ritagli di tessuto frammisti a ritagli di carta, frammenti di plastica nonché, a vari rifiuti di origine domestica tipici della produzione e confezione di capi di abbigliamento”, così come appositamente analizzati e classificati da personale del Dipartimento ARPAT di Prato, che ha svolto in collaborazione con gli investigatori i necessari accertamenti tecnici.

Il tutto stipato all’interno di plurimi capannoni industriali, container e semirimorchi, individuati tra le Provincie di Prato, di Pistoia e Pesaro Urbino ed oggetto di sequestro grazie anche alla collaborazione della Polizia Provinciale di Pesaro e Urbino e di Firenze, impegnata con proprie aliquote di personale anche nelle attività odierne.
Immobili con rifiuti che raggiungevano quasi il colmo dell’edificio, bombe ad orologeria in virtù dell’elevato potere calorifero scaturito da tali materiali in caso di combustione e privi di ogni requisito di sicurezza ai fini antincendio per i lavoratori all’interno, così come appositamente accertato dai vari Comandi dei Vigili del Fuoco intervenuti a seguito degli specifici accertamenti disposti dalla Procura.

Sia i capannoni che i mezzi utilizzati per la raccolta presso le confezioni e/o i pronto moda cinesi presentavano autorizzazioni inesistenti, clonate da altre aziende, o falsificate nella parte riguardante la possibilità di poter trattare i rifiuti tessili.

Elevati profitti per tutti i componenti dell’associazione criminosa, con un illecito profitto stimato, nell’arco temporale di circa un anno e mezzo di 800.000 euro.

L’attività di indagine ha consentito quindi di mettere fine ad una vera e propria attività organizzata che nella ultima propria riorganizzazione a seguito dei vari sequestri intervenuti nel nord Italia e nelle Marche aveva avviato, al fine di eludere i controlli in territorio italiano, l’esportazione degli scarti tessili verso la Spagna.

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