18 Gennaio 2023

Yuliya, dalla dittatura in Bielorussia alla nuova vita a Prato: “Sono finita due volte in carcere. Sogno il mio Paese libero e democratico”

La giovane 33enne, originaria di Minsk, si è opposta al regime di Lukashenko partecipando alle mobilitazioni di massa. Da agosto dello scorso anno risiede in città e collabora con la Cisl per portare la sua testimonianza in giro per l'Italia e aiutare, tramite progetti umanitari, il suo popolo


I braccialetti con i colori della bandiera bianco-rosso-bianca e sopra una scritta: “la Bielorussia libera”. Yuliya Yukhno, 33 anni originaria di Minsk, ne ha distribuiti almeno 10mila per le strade della capitale bielorussa prima di finire in carcere due volte e poi fuggire in Italia: sono il suo modo per dire “no” al regime di violenza, torture e limitazione della libertà imposto nel suo Paese da Alexander Lukashenko, al potere da oltre 25 anni.

Insegnante di musica, poi modella in Italia e a Istanbul fino al 2018, Yuliya è stata licenziata in tronco dall’agenzia immobiliare in cui lavorava nel maggio 2020, dopo aver pubblicato un post in cui criticava le posizioni negazioniste di Lukashenko rispetto alla pandemia da Covid: “Il Covid c’è, il Covid esiste”, scriveva la ragazza sui social. Uno sfogo inammissibile per la dittatura che gli è valso il licenziamento diretto e la perdita del posto. “Mi sono ritrovata, di punto in bianco, senza lavoro e senza soldi – racconta Yuliya -. Poi è iniziata la campagna elettorale in cui Lukashenko ha confermato il suo atteggiamento autoritario: ha arrestato avversari politici e vietato candidature, sollevando di rimbalzo una ondata di proteste popolari. L’unica candidata rimasta, Svetlana Tikhanovskaya, ha registrato il sostegno di tantissime persone, considerate ovviamente oppositori del regime”. Qui è scattata la molla che ha spinto la 33enne a dare il via a una vera e propria mobilitazione “per unire le persone” e contrastare il clima di ostruzionismo e manipolazione che vige nei confini della Bielorussia. Neppure la rielezione di Lukashenko, per il sesto mandato consecutivo, nell’agosto 2020, ha fermato Yuliya: troppa la voglia di alzare la testa e far sentire la propria voce, di convincere la gente a fare squadra nella speranza di rompere i legami col passato e spingere l’acceleratore per un futuro diverso ma soprattutto democratico.

“La Bielorussia libera”, si legge appunto sui braccialetti che faceva produrre in Russia per poi distribuirli instancabilmente nella sua città. Era proprio in strada, intenta a consegnare ai passanti questi gadget, piccoli grandi simboli di cambiamento, quando la polizia finanziaria la arrestò. Il calendario segnava il 1 febbraio 2021. Seguirono sette giorni di carcere. “Mi dissero che mi avrebbero portato in cella perché vendevo i braccialetti senza Partita Iva – ricorda Yuliya -. Sapevo che avrei rischiato grosso ma io non volevo pagare le tasse a un Governo che avrebbe continuato, con quei soldi, ad alimentare la dittatura. Certo, non avrei pensato di finire in carcere”. Quella non è stata però l’unica volta. La reclusione è scattata anche nel luglio 2021: gli agenti del KGB, la polizia speciale antisommossa, si presentarono a casa di Yuliya e del marito, lui venne rilasciato mentre per la ragazza si aprirono per la seconda volta le porte del carcere. Una cella condivisa con altre 17 donne, in uno spazio che poteva al massimo contenerne 4. “Quell’incubo è finito nel mese di agosto del 2021 – ricorda Yuliya -. E’ allora che io e mio marito abbiamo deciso che non potevamo continuare a restare lì, che era troppo pericoloso. Ci siamo fatti forza e siamo partiti”. Il viaggio è stato lungo e complicato: a bordo di furgoni, auto e treni Yuliya e il compagno Sergey hanno varcato i confini e raggiunto la Russia, da lì l’Ucraina e poi la Polonia, dove lui è rimasto a vivere e lavorare.

Lei, tramite l’associazione dei bielorussi in Italia “Supolka”, è riuscita ad entrare nella Penisola e, da agosto dello scorso anno, a trovare una nuova casa a Prato. La Cisl è diventata la sua nuova famiglia: grazie alla confederazione, Yuliya porta avanti la sua missione sociale e umanitaria, raccontando la propria storia ai congressi Cisl e dando vita a progetti internazionali a sostegno dei suoi concittadini bielorussi. Agli inizi di dicembre è arrivato anche il riconoscimento ufficiale di rifugiato politico, che le consentirà di guardare con più serenità ai prossimi cinque anni. “Mi trovo benissimo a Prato, adoro la Toscana, ma il mio cuore resta a Minsk – sottolinea Yuliya -. Se tornassi nel mio Paese non farei una bella fine, sono ricercata e osservata a distanza anche per la mia attività qui in Italia. Spesso ho timore che tutto questo possa ritorcersi contro i miei genitori, che si trovano ancora a Minsk, ma il desiderio di cambiare le cose è troppo forte”.

Yuliya di grandi passi ne sta già facendo: ha incontrato in questi mesi le istituzioni italiane e si è recata anche al Parlamento Europeo per sostenere la causa della Bielorussia libera. “Continuerò a portare avanti i miei progetti, a favore del mio popolo – commenta Yuliya -. Voglio rendermi utile per tutti coloro che hanno bisogno di una mano: a loro dico, conosco la vostra sofferenza e il vostro smarrimento. Spero un giorno, non troppo lontano, di tornare nel mio Paese natale e di poter respirare la libertà – conclude – che sto respirando qui da voi”.

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