29 Gennaio 2024

Montegrappa, il viale con tre anime dove si rinnova solo la carreggiata

Rispetto alla dinamica gemella via Ferrucci è rimasto un giovin signore d'altri tempi, stordito dal traffico lento e dalla carenza di parcheggi


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Viale Montegrappa, cui TV Prato ha dedicato un focus, è diviso in tre parti, per parafrasare la Gallia di Cesare. Ed è il viale che negli ultimi decenni è cambiato pochissimo in cielo, con lo skyline rimasto invariato, abbastanza in terra, con lo sbizzarrirsi di tecnici e assessori che nel tempo hanno tolto alberi e ridotto la carreggiata. Viale di accesso e non di uscita dalla città, è gemello siamese e concettualmente inseparabile di via Ferrucci, che scorre parallela e assolve all’opposta funzione di accompagnare i pratesi verso l’autostrada e Firenze. Il fatto che uno sia intitolato a una vittoria della Grande Guerra e l’altra a un condottiero valoroso ma tristemente ucciso, dimostra già dal nome chi sia stato il più coccolato, dei due gemelli. Via Ferrucci è una ragazza scarmigliata, che nessuno lascia in pace, ha cambiato e cambia spesso abiti e trucco. Viale Montegrappa un signorino che indossa ancora il gilet col taschino di antica eleganza, solo un po’ invecchiato.

Viale Montegrappa inizia dove un giorno non lontano era tutta campagna e lo è ancora sul lato destro, nel punto in cui finalmente la città ha cessato di costruire in faccia al Bisenzio. Nasce da una rotatoria a cinque strade, con un vecchio distributore, fabbriche dismesse diventate concessionarie, trasformate in sede di ricevimenti, nel magazzino di Emmaus dove va a finire tutta la città o rimasti scheletri incompiuti e chissà quando.

Di fronte a quegli scheletri, la sola novità della città recente, l’accessorio alla moda sul gilet antico: la cittadella direzionale, a vocazione finanziaria non nel senso borsistico, ma di soldi dello Stato. Ecco la sede della Guardia di Finanza, di Equitalia e ogni precedente e futura denominazione delle agenzie di riscossione, via crucis dei contribuenti. Ad addolcirla, un bar alla moda che aveva un nome muscolare, Ercole, forse per farsi forza delle cartelle esattoriali.

Poi, il viale scorre discreto fino alla rotatoria col viale della Repubblica più generosa all’ingresso per chi arriva da lì che dal Buzzi e si apre su una piazza nata per accogliere altri uffici statali, ma rimasta parcheggio. Da qui il viale non ha più cambiato un bottone, un’asola da com’era. L’ingresso di Palmucci e di fronte case miste a vecchie fabbriche, il brulicare di vita e negozi fino a via Santa Gonda. Lì, comincia la seconda parte di viale Montegrappa che eresse nelle vie a destra (Spadini, Fra Bartolomeo) oppure fronte strada palazzi alti e belli, con il portiere all’ingresso e legno alle pareti, come reclamava la borghesia che cresceva impetuosa e desiderosa di segni che ne certificassero le raggiunte ascese.

Oltre fiume, la Pietà, la città dei ricchi era satura e la Castellina sopratutto campagna fino allora conservata. Così, si costruì di qua dal fiume. Appartamenti grandi, luminosi. Vista Bisenzio e colline. Ma a filo strada, garage piccoli, senza prevedere che le auto avrebbero uguagliato per numero le persone. Come successe negli stessi anni al Soccorso, più popolare, ma non per questo meno motorizzato.
La parte più elegante e tutta residenziale del viale Montegrappa soffrì presto di carenza di posti auto e sfogò su via Ferrucci il bisogno di servizi, a partire dai supermercati. Bisogni che soddisfaceva lì, senza avventurarsi in centro, imboccando le strade laterali tutte rivolte verso la gemella Ferrucci e non viceversa. Era ed è viale Montegrappa, ma aveva ed ha la testa a viale della Repubblica, alla città nuova e moderna che attorno a quello sarebbe proliferata.

Dall’incrocio con via Fra Bartolomeo viale Montegrappa cambia  vocazione. È, per mentalità e flusso del traffico, l’ultima propaggine del centro. Perché su quello è costretta a rivolgersi da senso unico e mancanza di sbocchi diretti su via Ferrucci. Perché sul viale e nelle diramazioni via Miniati e via da Sangallo ci sono terratetto in stile, costruite dai nonni che lì, poco fuori dalle mura, si sentivano appartenenti al centro e quel sentimento hanno trasmesso ai figli ai nipoti. Infatti, i ragazzi che abitavano in quel tratto frequentavano le medie Mazzoni fra piazza San Marco e piazza Mercatale e non le Cironi in viale della Repubblica. E l’opulento, metropolitano, palazzo a triangolo con viale Veneto, dove viale Montegrappa finisce, sede di ogni ufficio direzionale e di appartamenti di antica eleganza, guardava la Prato che c’era già, in centro e non quella che sarebbe arrivata alle sue spalle.

Difficile, oggi cogliere i tre volti all’origine del viale, con l’alternarsi di residenti, l’arrivo di stranieri e l’omogenea sagomatura della strada, fattasi più stretta per le auto e più ampia per pedoni e per le bici che pochi inforcano, lì. Semmai, si passeggia e si pedala nella ciclabile che scorre in parallelo, cinquanta metri a destra, oltre le case, in riva al Bisenzio. Perché a Prato si va in bici e si cammina per diletto e non per necessità. E nel viale e in tutta la zona è difficile la sosta per un caffè o per ritirare l’abito in lavanderia, figuriamoci per lasciarci l’auto un’intera notte. Anni fa la ciclabile, sorta restringendo il viale alle macchine, procurò notorietà a Patrizia Ovattoni, appassionata consigliera di centrodestra che eccepì il favore fatto ai migranti i quali, non potendo permettersi l’auto, viaggiavano in bici. Il tutto, a scapito degli indigeni motorizzati. Un boccone troppo ghiotto per Giuseppe Cruciani, al quale la coraggiosa e sventurata (in senso manzoniano) Ovattoni rispose in diretta sulla Zanzara di Radio 24.

Oggi il viale è un’arteria ampia per una macchina, stretta per due che viaggino in parallelo e dove la fila indiana si blocca al minimo fermarsi di un’auto per far scendere un passeggero. Andamento lento, cadenzato. L’antico signorino col gilet, in cuor suo, se ne rallegrerà.

 

Buongiornoprato@tvprato.it

disegno di Marco Milanesi

 

 

 

 

 

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