25 Febbraio 2024

Patrizia Bogani: “Io, prima studentessa e insegnante al Buzzi, dipingo quadri con pezzi di stoffa” VIDEO

Ruppe il.tabù della scuola tessile vietata alle donne e oggi realizza quadri che espone fino al 10 marzo alla Campolmina


 

 

È nata dentro il Buzzi, del Buzzi è stata la prima studentessa, la prima Paglietta al femminile, la prima insegnante di materie tecniche. E ne resta un eterno simbolo. Anche ora che si cimenta come pittrice, al suo nuovo vernissage ex allievi di tutta una vita sono accorsi per congratularsi e incoraggiarla.
Patrizia Bogani vive con orgoglio la sua nuova vita di artista che, dopo aver disegnato e insegnato a disegnare tessuti a generazioni di “tecnici” pratesi, la vede utilizzare stoffe al posto di pennello, colori a tempera o ad olio. E realizza opere di straordinaria originalità, da ieri pomeriggio (24 febbraio) fino al 10 marzo in mostra alla Campolmina nel complesso della Biblioteca Lazzerini. In ogni cornice, tessuti incollati sulla tela con gli originali colori oppure impastati di tinte. Fiori tridimensionali dai toni cupi o sgargianti. Sculture di lana, lino, cotone, fibre sintetiche di grande energia sensoriale, che intrigano l’occhio, solleticano i polpastrelli, invitano il tatto.

Com’è nata la sua vocazione artistica? 

“Ho sempre avuto estro e buona manualità nel disegno e una volta lasciati l’insegnamento e la professione ho dato libero sfogo, scegliendo come motivo della produzione i tessuti, l’elemento che ha accompagnato tutta la mia vita. Li raccolgo dai miei cassetti online acquisto in spiaggia dagli ambulanti. Talvolta li pesco nei lanifici dove mi capita di andare. Importante è  che mi ispirano per materiale, combinazione di disegni o colori”.

Opere astratte. Ci guidi alla lettura.

“Compongo cerchi, simbolo di armonia, l’obiettivo che ho sempre perseguito nella vita mossa dal ottimismo che mi assiste”.

E se armonia non c’è?

“Ricorro ai rettangoli, spigolosi, impossibilitato da intersecare. Ascoltai il papa parlare di muri chexs’inalzavano e disegnai tanti rettangoli a rappresentare ciascuno un paese chiuso nelle sue frontiere, senza ponti”.

Cosa cerca nell’arte?

“Libero sfogo al mio estro, desiderio di esprimermi una volta esaurito il tempo del lavoro. Non dipingo per ambizione, se espongo lo devo alla direttrice del Museo Marini di Pistoia, che m’incoraggiò a proseguire e ad affrontare il pubblico. Ed eccomi qua”.

GUARDA IL VIDEO

La sua vita è legata a molti fili all’Istituto Buzzi.
“Tutto dipese da mio nonno Gino Bogani. Aveva un laboratorio di lavorazioni jacquard vicino alla chiesa di San Pierino e quando Tullio Buzzi, chimico tintore, arrivò a Prato dalla Lombardia lo invitò a lavorare nella scuola appena fondata, per insegnare ai ragazzi la sua specializzazione. Ed assegnò a lui e alla sua famiglia l’alloggio interno all’istituto. Mio padre Foresto divenne prima assistente, infine docente di laboratorio ed ereditò l’uso dell’abitazione, nella quale nacqui io. E crebbi innamorandomi di quella scuola. Io, che fin da bimba avevo mostrato talento per il disegno”.

Poi, cosa avvenne?
“Terminate le medie con buon profitto, mio padre ebbe l’idea di iscrivermi al Buzzi e io ne fui felice. Ma creammo scompiglio nella scuola”

Che anno era?
“Il 1956 e nessuno, dal preside Pizziolo ai docenti mi voleva, certi che in un ambiente a impronta tanto maschile non ce l’avrei mai fatta. Considerando che ero entrata in prima elementare a cinque anni, mio padre convinse il Buzzi ad accettare la mia iscrizione, come una sorta di prova annuale: se fossi stata bocciata, avrei cambiato scuola e sarei stata comunque in pari con l’età”.

Risultato?
“Alla maturità conseguii il miglior diploma della Toscana. Avevo la media del nove e mezzo. Durante l’ultimo anno i professori mi indirizzavano i ragazzi un po’ indietro con la preparazione perché facessi loro ripetizioni”.

Iniziò subito a guadagnare.
“Le ripetizioni mi procurarono pochi spiccioli, in confronto alle borse di studio che ottenni con la maturità per 650 mila lire complessive: 300 mila me le offrì la Fratelli Franchi con posto di lavoro assicurato, che mio padre non volle farmi accettare, perché continuassi gli studi all’università. Una borsa la ricevetti dal Rotary club Firenze. Nella serata in cui la ritirai conobbi il marchese Emilio Pucci, che a sua volta mi voleva a lavorare nella sua maison. Feci un compromesso e disegnai per lui senza passarne alle dipendenze. Coi soldi delle borse comprai una Fiat Cinquecento e andavo a Firenze – da Pucci o all’Università in piena autonomia”.

Cosa studiava?
“Economia, materia che mi consenti di trasmettere con maggior consapevolezza il sapere tecnico in analisi e progettazione dei tessuti, assimilato grazie al Buzzi. E non solo”.

Cioè?
“La laurea mi consentì di accostare all’insegnamento l’attività libero professionale di perito per il tribunale sulle frequenti controversie in materia tessile”.

Prima ragazza al Buzzi. Come venne accolta?
“Entrai a tredici anni, poco più che bambina, coi calzettoni e il grembiule nero che il preside mi impose. Eravamo trenta, in classe. I compagni mi trattavano con tenerezza, in particolare ebbi due paladini molto protettivi e affettuosi: Carlo Alberto Nistri, futuro fondatore della Furpile, mio compagno già alle medie e ancora oggi carissimo amico e Paolo Lenzi. Ero sempre circondata da ragazzi,: in classe come a casa, quando studiavano insieme”.

Niente amiche di scuola.
“Avevo due alternative: fare la civetta coi maschi, oppure assimilare i connotati del loro carattere: determinazione, tenacia, autostima, aggiungendoli al talento. Scelsi questa strada, ma con dei limiti”

Ad esempio?
“Diventai Paglietta, conservo tuttora la mia paglietta, ma non ho mai partecipato alla Rivista del Buzzi. Per non dar adito a confidenze fuori luogo”.

Lei ha infranto il tabù ed aperto la strada del Buzzi per le ragazze.
“È vero, infransi il tabù, ma non posso dire di aver aperto una strada: l’anno dopo di me al Buzzi si iscrisse Ghitte Michelagnoli, anche in quel caso fu il padre, industriale, a far pressioni sulla scuola. La terza alunna però s’iscrisse tredici anni dopo. Da allora si è formata una schiera di tecnici donne molto affiatata, con Marcella Banci, Annamaria Moretti, Cristina Ginanni, Angela Toccafondi, Fioranna Razzi. Tutte protagoniste di belle carriere. Insieme ci ritroviamo a cena due-tre volte all’anno”.

Lei è stata compagna di classe di di tanti futuri imprenditori del tessile. Successivamente insegnante dei loro figli. Differenze fra le generazioni?
“In classe con me c’erano figli di imprenditori, ma anche di operai. Crescendo, sono diventati quasi tutti industriali o artigiani: l’ascensore sociale allora funzionava ed era mosso dalla fame di affermazione che si respirava in quei tempi, con la guerra ancora vicina e durante la quale eravamo nati, ma resa lontana dalla voglia di futuro che ci animava. Poi, ho avuto come alunni i figli dei miei compagni di scuola e rispetto ai loro genitori ho notato due diffrenze”.

Quali?
“La conoscenza del tessile già assimilata in famiglia, fuori da scuola. I figli degli artigiani ad esempio, all’arrivo sui banchi sapevano quasi tutto dei macchinari utilizzati dai loro padri. Stimo moltissimo gli artigiani pratesi. Sul piano caratteriale in alcuni casi ho incontrato giovani privi della ‘fame’ che avevamo noi. Alcuni padri, con le prime ricchezze, abituarono i figli ad avere subito tutto: moto, auto sportive fin da giovanissimi. Ma non si può generalizzare. Anche le nuove generazioni si sono fatte valere”.

Patrizia Bogani alla Campolmina

Com’era, lei, da insegnante?
“Cercavo di far capire ai ragazzi la fortuna di avere fin da quell’età una professione in mano, che loro potevano solo lasciarsi scappare. Era il periodo in cui i ragazzi di quarta erano opzionali dalle aziende per esser assunti dopo la maturità e il militare. Messo in chiaro che con il sapere e il diploma avrebbero avuto di fronte un’ampia strada per la vita, li spronavo a dare il meglio, a dare tutto. Nei primi due anni ero temuta, in quinta mi adoravano. Usciti da scuola, tornavano a chiedermi consigli”.

Autorevole e materna.
“Ho imposto il rispetto delle gerarchie, io ero l’insegnante e loro gli alunni. Ma lo stesso rispetto ho osservato io verso i ragazzi. Mai ironie verso chi sbaglia, sempre motivata ogni decisione, spiegando il perché di un brutto voto, mai dovuto fare un richiamo o un provvedimento disciplinare”.

Quali suoi allievi hanno fatto carriera?
“Tutti sono diventati bravi imprenditori. Fra i liberi professionisti cito Barneschi, passato da Coveri a Gucci. E due mattatori della Rivista: Sergio Gadducci e Lamberto Muggiani”.

Oggi il tessile pratese è decimato nel numero di aziende, rispetto agli anni in cui lei insegnava. Chi ha chiuso lo ha fatto perché costretto o perché convinto da fattori esterni (rendite da affitti, finanza, avvento dei cinesi)?
“Ridurre il numero di imprese era fisiologico, sulle chiusure pesano tanti fattori. Come il mancato o ritardato ricambio generazionale da parte di imprendiotori che hanno tenuto il comando fino all’ultimo. Oppure la diversificazione, che ha portato a investire magari in immobili e non dell’azienda. E se non investi, non rinnovi continuamente, le imprese perdono competitività, con i paesi emergenti pronti a copiare il prodotto e a rifarlo a costi stracciati rispetto ai nostri”.

Come primeggiare nel mercato globale?
“Prato è condannata a viaggiare con sette-otto mesi di anticipo sul resto del mondo. Il tempo in cui puoi presentare i campionari, prima che altri li abbiano copiati. Un’avanguardia senza fine, che Prato estende dalla moda all’arredamento, al tessile tecnico, dove ci sarebbero grandi orizzonti da esplorare”.

Quali?
“Il tessile per la componentistica industriale, ad esempio. Parti delle auto che un tempo erano realizzate in metallo, oggi sono preparate in tessuto non tessuto, più ecologico, altrettanto resistente. Occorre ricerca, investimenti ma sarebbe un terreno fertilissimo”.

Oggi lei si definisce “artista”. Quanto dell’artista c’era già nel disegnatore tessile?
“Il tecnico rappresenta una “forza industriale’. Pone creatività, estro, artigianalità al servizio di un sistema produttivo. Il disegnatore esprime tantissimo di sè nel campionario. Ma deve tener conto di costi, tempi, materiali, delle mille combinazioni di un processo economico. L’artista puro, è libero, senza vincoli”.

Patrizia Bogani con uno dei dipinti in mostra

Se dovesse rappresentare Prato in un quadro come lo realizzerebbe?
“Con tanti cerchi, ognuno dei quali rappresenta un diverso settore del tessile, dell’economia, della società. Sono ottimista per natura ed escludo rettangoli. Solo cerchi, miscelando i colori in chiave di armonia”.

disegno di Marco Milanesi

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