27 Marzo 2024

Si riaffacciano i dormitori nelle ditte cinesi, confermati i 750 controlli annui del Piano Lavoro Sicuro

Il numero dei controlli nel tempo è diminuito (così come gli ispettori, scesi da 74 ad una cinquantina) ma si sono estesi lo spettro delle verifiche e il trend di regolarità, oggi pari al 70%


Nel biennio 2024-2025 la Asl Toscana Centro effettuerà 750 controlli l’anno presso imprese cinesi di Prato (altri 550 accessi saranno a carico di altre aziende) confermando la media del triennio precedente; mentre per gli altri territori coinvolti dal Piano Lavoro sicuro le ispezioni mirate alle aziende orientali caleranno dai 1.100 annui della Fase 4 ai 922 della Fase 5.
La scelta di mantenere un livello stabile di pressing ispettivo è motivata da alcune recrudescenze nelle irregolarità, riscontrate in particolare per quanto riguarda i dormitori abusivi e le carenze igieniche nelle aziende. Nella fase 1, fra il settembre 2014 e il marzo 2017, a Prato i dormitori abusivi erano stati trovati nel 17,9% delle ditte cinesi controllate. Una percentuale scesa drasticamente nelle due fasi successive all’1,1% e 3,9%, mentre nella quarta fase (triennio 2021-2023) il dato è risalito all’8,4%. Rispetto alla prima fase caratterizzata da giacigli in cartongesso ricavati in soppalchi estremamente pericolosi, gli abusi riscontrati di recente riguardano soprattutto la presenza di divani-letto o dormitori in abitazioni funzionali all’azienda.

La Fase 5 del Piano Lavoro Sicuro della Regione Toscana, che avrà una durata biennale da gennaio 2024 al 31 dicembre 2025, è stata presentata oggi nel Salone Consiliare del Comune di Prato. All’incontro, coordinato dall’assessore alle Politiche di cittadinanza Simone Mangani, erano presenti il direttore del Dipartimento di Prevenzione dell’Asl Toscana centro Renzo Berti, il direttore dell’Area Sicurezza sui luoghi di lavoro Luigi Mauro e i rappresentanti delle categorie economiche e dei sindacati cittadini.

Ad illustrare i risultati delle fasi precedenti e le prospettive di sviluppo è stato il direttore Berti, che ha evidenziato che dal 2014 ad oggi a Prato sono state controllate 11.387 imprese (in totale nel territorio della ASl Toscana Centro 18.321) ed incassati oltre 26,5 milioni di euro di sanzioni riscosse – 2,5 all’anno -, rendendo in pratica il Piano autofinanziato – con un trend di regolarità  più che triplicato a Prato, (dal 20,2% del 2014, quando è stata avviata la prima fase del progetto, al 70,4 attuale, uguale su base regionale).

“Vi è un netto miglioramento rispetto all’inizio dell’attività di controllo del nucleo e da un punto di vista quantitativo i controlli non caleranno,  ma il riaffacciarsi di situazioni di promiscuità tra luoghi di lavoro e spazi di vita ci ha fatto decidere di non abbassare l’attenzione – ha detto Renzo Berti – Non si tratta di dormitori in loculi di cartongesso come quelli che trovavamo in molti capannoni, ma comunque di situazioni non a norma in cui i rischi si moltiplicano: facendoci  pensare che quanto abbiamo acquisito non sia consolidato. Per questo, al di là della quantità e dell’efficacia dei controlli, è necessaria un’assunzione di responsabilità da parte delle imprese, il vero deterrente rispetto ai rischi e la molla che fa scattare la prevenzione. Per fare questo salto di qualità chiediamo la preziosa collaborazione delle parti sociali”.

“Il Piano lavoro Sicuro è cresciuto negli anni grazie soprattutto alla collaborazione istituzionale e il Comune di Prato è partner del progetto attraverso la Polizia Municipale e il Servizio Immigrazione – ha aggiunto l’assessore Simone Mangani – A quell’intesa hanno fatto seguito il Protocollo Antisfruttamento che vede capofila la Procura della Repubblica e altri accordi come quelli con Alia e Sori per estendere i controlli di prevenzione anche ad altri ambiti. E’ di fondamentale importanza che la Regione Toscana abbia deciso di far proseguire il Piano per altri due anni fino alla fine del 2025″.

Il Piano lavoro Sicuro è stato avviato dalla Regione Toscana in collaborazione con il  Comune di Prato a 10 anni dalla tragedia dell’incendio al Teresa Moda di via Toscana, il 1° dicembre 2013, in cui morirono sette operai cinesi. L’avvio del progetto di controllo sulle condizioni di lavoro nelle aziende nel settembre 2014, con l’assunzione di 74 Tecnici della prevenzione, di cui 50 destinati a Prato, è stata la risposta a quel rogo scatenato dal corto circuito di una stufa elettrica ed alimentato velocemente dai materiali sintetici stipati nel pronto moda, in cui erano molteplici le violazioni alle norme di prevenzione. A distanza di 10 anni, in forza alla Asl Toscana Centro sono rimasti una cinquantina dei 74 ispettori assunti all’epoca: gli altri hanno chiesto e ottenuto il trasferimento presso altre amministrazioni pubbliche italiane.

A Prato il numero dei controlli alle aziende cinesi è diminuito con il tempo (142 ditte al mese della fase 1; 121 nella fase 2; 48 al mese nella fase 3; 67 nella fase 4), ma si è esteso lo spettro delle verifiche compiute (nella fase 1 il focus era su dormitori e cucine abusive, presenza di bombole a gas e impianti elettrici fatiscenti; adesso gli accertamenti riguardano tutti gli aspetti della sicurezza aziendale: dormitori esterni, macchinari, formazione, documento di valutazione dei rischi, conformità degli impianti elettrici, carrelli e mezzi di sollevamento e trasporto, sostanze pericolose).

Si è allargata anche la tipologia di aziende controllate, (non solo del distretto tessile-abbigliamento, ma anche ad esempio in agricoltura), che vengono selezionate in base al maggior profilo di rischio. Il Piano Lavoro sicuro – che rinnoverà anche la parte relativa alla comunicazione e alla formazione in collaborazione con le parti sociali – ha consentito di mettere a punto un metodo preso a riferimento in altre realtà italiane ed anche il monitoraggio di altri fenomeni connessi, quali lo sfruttamento lavorativo. All’interno della Asl si è infatti costituito un nucleo specializzato, in stretto contatto con la Procura di Prato, che ha contribuito ad importanti indagini per contrastare le nuove forme di caporalato, contestando a diversi datori di lavoro cinesi il reato previsto dall’articolo 603 bis del codice penale.

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