“Sei andato via, cosi all’improvviso. Ci è stata tolta la possibilità di sentirti e di vederti un’ultima volta, non potremo più abbracciarti o darti un bacio. Abbiamo sottovalutato la possibilità che un giorno potevamo perderti a causa del lavoro che facevi, non pensando che proprio a causa di quest’ultimo saresti andato via. Per sempre. Ciao papà. Ciao al nostro supereroe”. Parole toccanti e traboccanti dolore: sono quelle della lettera scritta da Chiara e Federica, le figlie di Vincenzo Martinelli, una delle cinque vittime dell’esplosione del deposito Eni di cui sono stati celebrati oggi i funerali nel Duomo di Prato. La lettera delle figlie è stata letta dall’ambone della cattedrale da un’amica delle due. In contemporanea, nella chiesa di San Giorgio a Colonica, si svolgeva in forma strettamente privata il funerale dell’altra vittima pratese, Carmelo Corso.
Vincenzo Martinelli era originario di Napoli ma viveva a Prato da oltre vent’anni. La mamma di Martinelli, l’ex moglie, le due figlie e il fratello e la sorella erano presenti alle esequie, celebrate dal vicario generale della Diocesi Monsignor Daniele Scaccini. Molti anche gli amici e i semplici cittadini accorsi in Duomo, che era pieno. Presente al funerale il sindaco di Calenzano Giuseppe Carovani e, in rappresentanza del comune di Prato, l’assessore Marco Biagioni, senza gonfalone. Nella sua omelia Monsignor Scaccini ha sottolineato la necessità di un’assunzione di responsabilità di fronte “a una morte improvvisa e per certi versi inaccettabile”: “Morire sul lavoro è segno di una società fragile, nella quale il primato della persona scompare, sostituito da altre attenzioni e interessi spesso non solo frutto di fatalità. Se ancora oggi si muore di lavoro (è stato detto in più contesti e per vari e dolorosi eventi) con una frequenza impressionante, significa che qualcosa non va; è una sconfitta per questa nostra società”, ha detto Monsignor Scaccini.