22 Marzo 2025

Una proposta “eretica” per Prato: camere per i turisti a Palazzo Datini


Quasi tutte le città d’arte sono alle prese con il fenomeno dell’overtourism, ormai manifestatosi o immanente. Prato no. Prato medita con tavoli e stati generali su come attirare turisti, ma l’esito finora raggiunto è individuare il metodo (tutti coinvolti e a remare dalla stessa parte), senza per ora indicare strumenti. E meno che mai soluzioni di merito. Il mantra è che abbiamo bellezze da valorizzare in una Toscana che di bellezze esonda. Intanto il turismo è virato dalla semplice osservazione all’esperienza, alla scoperta, all’emozione vissuta. A Prato è il caso di “Tipo”, il progetto di turismo industriale varato dall’ex assessore Bosi, del quale riparleremo. Ma quale esperienza originale può offrire Prato ai turisti? Una, l’avrebbe. Irta di ostacoli e tabù. È una soluzione che definire provocatoria è riduttivo. È letteralmente eretica, ma vale la pena pensarci. Prato e solo Prato potrebbe offrire il soggiorno nella dimora del maggior mercante europeo del Trecento. Soggiornare nel Palazzo di cui Francesco Marco Datini fece sede di vita e centro dei commerci. Palazzo Datini ha un’ala destinata ad housing sociale, in linea con l’eredità che il mercante affidò alla città laica, tramite il Ceppo: aiutare i pratesi bisognosi. Cinque alloggi, fra i settanta e i centoventi metri quadri sono a ciò destinati, nella porzione del palazzo su via Mazzei. Gli inquilini pagano canoni calmierati alla Casa Pia dei Ceppi, cui è affidato l’intero immobile.
Isabella Ponsiglione, presidente della Casa Pia de’ Ceppi, ricorda che, una cinquantina di anni fa, venne decisa questa destinazione respingendo le tentazioni di speculazione.
La questione “eretica” per la città è: senza rinunciare all’assistenza residenziale sociale, da trasferire, Prato potrebbe trarre vantaggi accogliendo turisti nel palazzo trecentesco voluto dal Mercante? Probabilmente sì. Turisti attratti dall’esperienza di soggiornare nel Palazzo Archivio e Museo con oltre settecento anni di vita. Prato ha di meglio su cui puntare?
Ovviamente l’accoglienza dovrebbe avvenire in diretto dialogo col Palazzo e i tesori che conserva: gli archivi coi carteggi di Datini, i campioni di stoffe d’epoca annessi ai documenti di compravendita.
Che diventi una sorta di hotel con sole camere, oppure una residenza con piccoli appartamenti, ognuno di essi dovrebbe rappresentare una parte organica del Palazzo, non un’aggiunta fuori contesto. Camere o alloggi andrebbero indicati non con asettici numeri, ma identificandoli, ad esempio, coi nomi delle città con cui Datini commerciava, da scegliere sulla base dei carteggi conservati in Archivio. Oppure chiamando gli ambienti coi nomi dei tessuti, o di significativi referenti commerciali. Tutto, nella residenza turistica, dovrebbe essere riferito alla sua persona o alla sua opera: esponendo in ogni camera o alloggio la riproduzione della lettera o del documento d’Archivio al quale si ispira il nome scelto. E se vi sono campioni di stoffe o di materie prime, ai loro colori andrebbero adeguate le tinte degli arredi. Se da una città giungeva porpora, l’appartamento sia in quelle tinte. Un’esperienza “concept” di certo in linea con questi tempi.
Un’attrattiva “eretica”, perché presuppone il superamento di ostacoli e tabù. Trasferire gli attuali inquilini dalla sede storica, attivare un’attività commerciale nell’antico Palazzo, da assegnare a privati: una rivoluzione.
Ma rispetto per Prato è anche riflettere se nel terzo millennio sia utile che il più bel palazzo storico sia destinato a conquistarsi turisti o ad alloggiare cittadini “bisognosi” che nessuno, comunque, lascerebbe senza tetto, grazie, anche, ai maggiori introiti che verrebbero incamerati, tramite i gestori, dalla Casa Pia de’ Ceppi. Pensarci è il minimo, realizzarlo una scossa storica che potrebbe portare reazioni positive a catena.
Un esempio di “gentrificazione”, per una volta attuato da un ente pubblico e non da privati, che approfittano di norme assenti, o inefficaci. Del resto Datini anteponeva ad ogni suo scritto il motto in nome di Dio e del Ghuadagno.

Piero Ceccatelli