L'aziende smaltiva illegalmente rifiuti sul territorio. Il procuratore Tescaroli: "condizioni di sfruttamento disumane"
Ancora una fabbrica “fantasma” scoperta all’interno del distretto tessile cinese con operai a nero che vivono e lavorano all’interno di un capannone in pessime condizioni igieniche. La situazione di completa illegalità è emersa nel corso di accertamenti sullo smaltimento di rifiuti tessili condotti dalla procura di Prato insieme alla polizia municipale.
L’operazione ha portato all’arresto di una imprenditrice cinese già nota alle forze dell’ordine e al sequestro di 2,5 tonnellate di scarti tessili, sotto sequestro anche il furgone adibito al trasporto dei rifiuti e l’immobile che ospitava la ditta, utilizzato anche come dormitorio. All’interno del capannone sono stati trovati a lavorare dieci persone di nazionalità cinese, uomini e donne, di cui quattro immigrati irregolari “in condizioni di sfruttamento disumane”, scrive in una nota il procuratore di Prato Luca Tescaroli. A quanto si apprende il laboratorio era privo “di ogni autorizzazione commerciale” e l’ambiente “fatiscente, privo di igiene, infestato da sporcizia e presenza di ratti”.
Come detto, tutto è partito da una indagine che ha permesso di individuare due trasportatori mentre caricavano un furgone con sacchi di rifiuti tessili presso un magazzino artigianale in via Zipoli. Il veicolo è stato poi fermato e sottoposto a sequestro: al suo interno c’erano le 2,5 tonnellate di rifiuti “destinati a essere abbandonati illecitamente sul territorio”. È stato poi sottoposto a controllo il capannone da dove era partito il furgone, svelando “uno scenario drammatico”. Dagli accertamenti sul posto è emerso che gli operai sono risultati lavorare fino a dieci ore al giorno.