Di Giacomo (Spp): "Una situazione allarmante"; Cacciato (Pd) chiede interventi immediati. Acli: "Superato il limite"
La notizia del ritrovamento del corpo senza vita di un detenuto nella sezione isolamento del carcere di Prato ha sollevato diverse reazioni a livello sindacale e politico. Per il segretario generale del Sindacato di Polizia Penitenziaria Aldo Di Giacomo “nei penitenziari c’è una situazione fuori dal controllo dello Stato”. In particolare per Di Giacomo “Il sovraffollamento, come sostiene il ministro Nordio, sarà pure una (discutibile) forma di controllo per ridurre i suicidi ma evidentemente non evita gli omicidi”. “Noi lo ripetiamo da troppo tempo – prosegue ancora il sindacato in una nota -, nelle carceri ci sono organizzazioni criminali che spadroneggiano, dal mercato della droga e dei telefonini sino al controllo della vita dei detenuti più deboli e alla violenza sessuale. Una situazione fuori dal controllo dello Stato”. Per Di Giacomo “è il ‘sistema Delmastro’ basato sul ‘tutto va bene’ che non funziona come provano i quattro omicidi accertati negli ultimi due anni, i 41 suicidi e oltre 30 decessi per cause da accertare. Ancora: sono già più di 4mila gli agenti penitenziari che sono stati costretti a ricorrere a cure dei medici per le aggressioni ormai quotidiane in un’estate caldissima con le alte temperature che amplificano il malessere dei detenuti”. “Oltre alla non consapevolezza della politica sull’emergenza carcere – osserva ancora Di Giacomo -, quello che continua a mancare è un piano complessivo di intervento per affrontare in maniera organica i problemi cronici di sovraffollamento, carenza organici, suicidi e morti per altre cause di detenuti, oltre che aggressioni e violenze al personale, rivolte, traffico di droga, diffusione di telefonini”.
“La Dogaia è il simbolo di un sistema penitenziario al collasso. La morte di un detenuto è l’ennesimo fallimento di uno Stato che abbandona i suoi doveri costituzionali”. Lo dichiara Marco Furfaro, deputato e membro della segreteria nazionale del Pd. “Sovraffollamento, organici ridotti, assistenza sanitaria e psichiatrica assente: in queste condizioni il carcere non rieduca, non restituisce dignità. È solo una fabbrica di disperazione. Da anni denunciamo questa emergenza, ma il governo resta in silenzio. Ogni morte in carcere è una ferita alla democrazia”, aggiunge il deputato concludendo che “Servono interventi strutturali: ridurre il sovraffollamento, rafforzare gli organici, potenziare l’assistenza psichiatrica e le misure alternative. Le carceri non devono essere un deposito di umanità abbandonata, ma luoghi di dignità. Il Pd continuerà a battersi affinché le nostre richieste siano finalmente prese in considerazione dal governo”.
“Questa ennesima tragedia umana ci pone ancora una volta di fronte al dramma di un sistema carcerario allo sbando – aggiunge Martina Cacciato, responsabile diritti del Pd Prato -. Non si tratta di episodi isolati, ma di un collasso strutturale delle condizioni di detenzione, della sicurezza, della gestione quotidiana del carcere. Una situazione che abbiamo denunciato in tutte le sedi istituzionali, durante le nostre visite, negli incontri ufficiali”. Cacciato ha precisato che come Comune di Prato è stato avviato un percorso per la costituzione di una Consulta Carceraria, “uno strumento – sottolinea – per dare voce continua a una realtà che grida aiuto. Senza un intervento deciso del Governo tutto rischia di essere vano. Il carcere della Dogaia non è una terra di nessuno. È uno spazio dello Stato. E lo Stato ha il dovere di garantire funzionamento, sicurezza e dignità. Chiediamo interventi immediati e strutturali: più personale, maggiore sicurezza, contrasto reale all’ingresso di droga e telefoni, investimenti seri sull’edilizia penitenziaria e sui percorsi di reinserimento”.
Sulla vicenda è intervenuta anche Acli Toscana, con la presidente Elena Pampana che ha affermato che “La morte di un detenuto segna un altro punto di non ritorno. Il limite della sopportabilità è stato ampiamente superato ben prima di oggi. Chi conosce la realtà penitenziaria toscana sa che da tempo, troppo tempo, molte strutture sono al collasso”. Come sottolineato ancora da Acli, “questa ennesima tragedia avviene in un contesto segnato da sovraffollamento, carenza di personale, ingresso incontrollato di oggetti e sostanze proibite. Il carcere dovrebbe rieducare e reinserire nel mondo, ma in queste condizioni è solo una fabbrica di disperazione”. Da qui l’appello lanciato da Acli Toscana per un cambiamento profondo e la richiesta di investimenti, personale, attenzione, ma soprattutto un nuovo patto tra istituzioni, associazionismo e comunità locali. “Il carcere – si legge ancora nella nota – non si riforma da solo. Serve costruire legami tra dentro e fuori, tra la pena e il reinserimento, tra legalità e dignità. Serve una visione, serve coraggio. Acli Toscana è pronta a fare la propria parte”.