Quando fu inaugurata, solitari o quasi a Prato, parlammo di un “contentino” per la città. La Banca Popolare di Vicenza, con una inedita grancassa di investimenti promozionali, aveva voluto in Palazzo Pretorio una mostra dove, con la «scusa» dell’incontro tra capolavori toscani e veneti, riportava in città le principali opere di quella che fu (e che noi speriamo ancora sia) la Galleria di Palazzo degli Alberti, voluta dall’allora Cassa di Risparmio di Prato e che ormai da tempo erano state inopinatamente trasferite a Vicenza. Una iniziativa e una promozione, quelle per la mostra, che suonavano strane e un po’ beffarde: in dieci anni di presenza, l’Istituto veneto, salvo iniziative sporadiche, non aveva investito granché nella promozione della Galleria, sia in termini di accessibilità del pubblico che di conoscenza. Anzi, le promesse iniziali di un incremento della collezione – espresse in occasione dell’unica acquisizione, una tela del pittore seicentesco Jacopo Vignali – erano state ribaltate completamente con lo smembramento di una Galleria unica, frutto di una straordinaria stagione di mecenatismo culturale realizzata tenacemente nell’«età dell’oro» di Prato.
Quelle opere, chiusa la mostra, dal primo di febbraio verranno riportate a Vicenza. Della battaglia per farle tornare stabilmente a Prato – nata anche e soprattutto per la campagna d’informazione del settimanale Toscana Oggi, rilanciata con forza da Tv Prato – abbiamo già più volte parlato. E noi speriamo che raggiunga l’obiettivo. Oggi ci interessa svolgere un ragionamento più complessivo, che dalla mostra prenda le mosse.
Il bilancio dell’esposizione è, ad oggi, quando mancano due giorni alla chiusura, di circa 25.000 persone. C’è da tenere presente che il numero comprende i molti visitatori che si sarebbero recati al Museo di Palazzo Pretorio indipendentemente dalla mostra temporanea. In ogni caso il numero, pur «tarato», avrebbe potuto rappresentare un buon risultato, in linea con il livello dell’esposizione. Senonché il patron della Popolare di Vicenza, Gianni Zonin, con una sorprendente e incomprensibile uscita il giorno dell’inaugurazione, affermò di puntare «a superare i 200.000 visitatori». Risultati che non vengono raggiunti quasi mai dalle più grandi esposizioni nazionali (Picasso, e dico Picasso, a Firenze ha totalizzato 190.000 biglietti). Così quel che sarebbe potuto essere un buon risultato si è trasformato in un sonoro flop per (de)merito dello stesso organizzatore. Perché Zonin si sia spinto, allora, ad una tale affermazione non risulta granché comprensibile.
Ma al di là, dicevamo, della vicenda di «Capolavori che si incontrano», è l’incontro – mai coronato d’amore e poco anche d’interessi vicendevoli tra Vicenza e Prato – che ci preme. In questi giorni la Banca veneta ha altri pensieri per la testa: l’improvvisa trasformazione voluta dal Governo in Società per Azioni quali conseguenze avrà sulle politiche del credito? Ci saranno effetti negativi per Prato? A sentire esperti ed operatori economici, l’ostentato ruolo di banca di riferimento del territorio (dopo l’incorporazione di Cariprato in effetti Vicenza mantiene poco meno del 30% dei risparmi pratesi) non si traduce in una differenza sostanziale rispetto alle banche che al territorio non dicono di fare riferimento. E l’esperienza di molti piccoli e medi imprenditori, come del mondo del no-profit, ce lo conferma.
La mostra è stata l’ultima cartina di tornasole di un rapporto che guarda molto a Vicenza e poco a Prato. Basti dire che nei vertici regionali della banca non c’è più, da anni, un funzionario pratese. Ma c’è una considerazione su tutte da svolgere: l’Istituto di credito veneto – che si è prima «mangiato» in un sol boccone tutti gli immobili della Cariprato, poi l’intera banca – nella nostra città ha fatto e sta facendo grandi affari; sul nostro territorio, di quei guadagni, ritorna però ben piccola cosa: in termini di accesso al credito, come di investimenti sociali e culturali. Non è un caso che le Banche popolari – l’ultima l’aretina “Etruria” – che Vicenza intendeva acquisire, ben consapevoli di quel che è successo a Prato, abbiano fatto di tutto per far fallire le mire espansionistiche venete.
Ebbene, archiviato il flop «voluto» dei Capolavori che si incontrano, la città si aspetta dunque fatti concreti: se la Popolare saprà coniugare il proprio legittimo interesse con quello della città, ne avrà un grande ritorno. E sarà, allora, un nuovo incontro.
Gianni Rossi
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