“Per fortuna qui a lavoro da me siamo tutti vivi. Ma ognuno di noi conosce qualcuno che conosce qualcuno che è rimasto coinvolto: ferito, morto. I miei colleghi sono passati dalla stazione della metro cinque, dieci minuti prima che scoppiasse la bomba. Io stessa, questa sera, sarei dovuta essere all’aeroporto per tornare a casa per le vacanze di Pasqua. Ma adesso è tutto fermo, è tutto bloccato: i voli sono cancellati e anche le frontiere sono chiuse. In strada fanno il car pooling: a Bruxelles ci sono tantissimi pendolari che vivono nell’area circostante e stanno cercando di tornare a casa. I taxi oggi viaggiano gratis, la metro è chiusa, funziona qualche bus. Tutti abbiamo paura. Siamo in ginocchio”. Antonella Fioravanti, trentenne pratese, lavora a Bruxelles da due anni, fa la ricercatrice all’Università. Quando la chiamiamo, tramite Whatsapp, è appena scattato l’allarme per un ordigno nel campus. Qualche minuto dopo che abbiamo riattaccato mi invia un messaggio: “C’è stata un’esplosione, forse sono stati gli artificieri, ma non abbiamo informazioni ancora”.
“Si vive abbastanza male, siamo agitati e cerchiamo di farci forza. Siamo provati – aggiunge – oggi tutti cerchiamo di stare insieme, uniti. Nessuno pensava che potesse accadere. Io adoro questa città, mi piace Bruxelles e mi reputo una cittadina europea. Mi piace l’idea di Europa che abbiamo: i folli ci sono ovunque, che ci debba essere un antiterrorismo più forte è fuori di dubbio. Se però ti fai prendere dalla paura – e lo dico con una paura addosso incredibile – avranno vinto loro, avrai fatto il gioco dei terroristi. Non si può accettare una cosa del genere. Non si può”.
Lu. Pe.
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