La guardia di Finanza di Prato ha proceduto, dalle prime ore di stamani, all’arresto di dodici persone per associazione a delinquere e riciclaggio di decine di milioni di euro, al fine di favorire Cosa nostra. Circa 300 i finanzieri impegnati nelle perquisizioni e negli arresti disposti su tutto il territorio nazionale; due dei quali effettuati a Prato, dove un elicottero ha sorvolato a lungo i cieli durante l’operazione, che ha portato anche al sequestro di 15 aziende e di 86 conti correnti e disponibilità finanziarie. Durante le perquisizioni, sono state sequestrate armi e diverse migliaia di euro in contanti.
Agli arrestati ed agli indagati, in totale 60, è contestata – a vario titolo – l’associazione per delinquere finalizzata alla commissione dei reati di riciclaggio, autoriciclaggio ed emissione di fatture per operazioni inesistenti, nonché i reati di intestazione fittizia di beni, contraffazione di documenti di identità e sostituzione di persona.
Le indagini – realizzate attraverso intercettazioni telefoniche, ambientali, attività di video-registrazione, appostamenti, pedinamenti e l’esame di una mole di documentazione bancaria – hanno portato alla scoperta dell’associazione a delinquere che, al fine di immettere nel circuito economico denaro di provenienza illecita, avrebbe creato e gestito – direttamente e tramite una serie di prestanome – una galassia di imprese specializzate nel commercio di pallets con sedi in tutto il territorio nazionale ed in particolare in Toscana, Sicilia e Lazio (in totale 33), di cui 25 reali ed effettivamente operanti (una anche a Prato) e le restanti 18 di fatto inesistenti (4 a Prato) in quanto prive di qualsiasi idonea struttura imprenditoriale, provviste solo di conti correnti funzionali agli scopi illeciti dell’associazione.
Secondo gli inquirenti l’obbiettivo del sodalizio era quello di riciclare i proventi degli affari criminali della “famiglia mafiosa di Corso dei Mille” di Palermo, capeggiata da Pietro Tagliavia, già condannato con sentenza irrevocabile per il reato di associazione mafiosa, figlio di Francesco Tagliavia, boss del mandamento di Brancaccio, condannato all’ergastolo sia per la strage di via d’Amelio a Palermo che per quella dei Georgofili a Firenze.
L’inchiesta “Golden Wood” è partita dalla Procura di Prato nel 2014, su una serie di soggetti dediti a truffe tramite carte d’identità false; dal 2017 l’indagine è coordinata dalla competente Direzione distrettuale Antimafia di Firenze per il coinvolgimento di alcuni soggetti negli affari dei clan mafiosi. Secondo gli investigatori, gli indagati si erano messi a completa disposizione di Pietro Tagliavia, nel periodo in cui questi era detenuto nel carcere di Prato, al punto da trovargli nel 2017 un’abitazione a Campi Bisenzio dove fargli scontare un periodo di arresti domiciliari, e di fornirgli, in via clandestina, un telefono cellulare con il quale mantenere i contatti con i propri sodali in Sicilia. Sono state inoltre intercettate conversazioni che confermano la provenienza siciliana di parte del denaro riciclato e rilevati movimenti di denaro “ripulito” verso la cosca palermitana. Sempre nel corso di una conversazione telefonica intercettata, al fratello di uno dei prestanome, titolare fittizio di una ditta inesistente, vengono rammentati i rischi cui si incorre in caso di infedeltà “…loro ammazzano, da giù, vengono sopra da Palermo e lo ammazzano…”.
L’importo totale delle fatture false emesse ed utilizzate ammonta ad oltre 50 milioni di euro. La contestazione dei reati di riciclaggio ed autoriciclaggio, relativa agli anni tra il 2015 ed il 2018, ammonta a una somma complessiva di circa 40 milioni di euro, frutto degli affari criminali di ‘cosa nostra’ e provento di fatturazione per operazioni inesistenti.
Il giro di denaro complessivo azionato dall’associazione a delinquere è quantificato in 150 milioni di euro, caratterizzato da continue operazioni di accredito e addebito di somme ingenti, giustificate come pagamenti di fittizie forniture di merce.
Il vorticoso giro di denaro ha trovato conferma nello sviluppo di 36 specifiche segnalazioni di operazioni sospette, rigorosamente riscontrate dai Finanzieri del Gruppo di Prato, pervenute – tramite il Nucleo Speciale di Polizia Valutaria – dagli operatori finanziari a ciò obbligati ai sensi della vigente normativa antiriciclaggio.
Centrale, rispetto alla contestazione del reato di riciclaggio, il ruolo affidato alle numerose ditte inesistenti, appositamente create, da un lato per agevolare l’associazione mafiosa denominata “cosa nostra” attraverso la canalizzazione di un fiume di denaro sui conti correnti opportunamente accesi, gestiti e svuotati, per ostacolare l’identificazione della provenienza delittuosa di tali somme, dall’altro per consentire – attraverso il giro di fatture false – indebiti vantaggi fiscali e posizioni dominanti sul mercato.
Emblematico il caso di due cittadini dello Sri Lanka, titolari di altrettante ditte individuali – con oggetto sociale il commercio di pallets – con sedi dichiarate a Prato, ma di fatto inesistenti, sui cui conti correnti in circa due anni sono transitati, complessivamente, più di 20 milioni di Euro.
Il sistema illecito emerso ruotava attorno a due gruppi familiari di origine siciliana, imparentati tra loro, stanziati in Toscana ed in Sicilia.
Fondamentale il ruolo assunto da uno dei dodici arrestati, un consulente del lavoro già sospeso dal proprio ordine professionale, incaricato della gestione finanziaria di alcune imprese utilizzate dal sodalizio, nonché degli aspetti amministrativi, comprese le formalità inerenti alla costituzione delle ditte inesistenti, cui provvedeva utilizzando anche falsi documenti di identità.
L’associazione a delinquere contava inoltre su una fitta rete di collaboratori, molti dei quali ricoprivano il ruolo di fittizi titolari di ditte inesistenti.
Dei dodici arrestati, sei sono stati ristretti in carcere e altrettanti ai domiciliari; dieci sono originari di Palermo e provincia, due della Puglia. Sette di loro sono residenti nel capoluogo siciliano, due a Prato, due a Campi Bisenzio, ed uno a Sesto Fiorentino.
De Raho: “Mafia e ‘ndrangheta erodono economia legale toscana”
“In Toscana abbiamo una vera e propria emergenza mafiosa nell’economia legale”. Lo ha detto il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho, intervenuto alla conferenza stampa relativa all’operazione della Dda di Firenze. “In Toscana – ha aggiunto De Raho – Cosa Nostra e la ‘Ndrangheta sono presenti con forza ed erodono l’economia legale. Nel momento in cui le società mafiose danno un servizio illegale non si limitano a offrire il servizio illegale della falsa fatturazione che giova alle imprese, ma le aggregano al circuito illegale delle mafie”, e questo “significa inquinare l’economia legale che via via viene erosa”. In questo modo, ha detto sempre De Raho, si costituisce “un circuito criminale nel quale la società mafiosa si confonde con la società sana, e quindi diventa sempre più difficile nelle indagini individuare il soggetto realmente mafioso”.
La Toscana, ha aggiunto, “è un territorio particolarmente esposto all’infiltrazioni della mafia, che attraverso il suo circuito economico riesce a ripulire denaro”. “Tutto questo – ha ha sottolineato – alimenta un mercato illegale che giova ancor più a Cosa Nostra”. “Da operazioni come queste dobbiamo trarre un insegnamento, – ha concluso De Raho -, capire che quando si opera nell’economia aprire rapporti commerciali con soggetti che offrono servizi illegali più apparentemente dare un giovamento fiscale, ma successivamente riduce i soggetti in schiavitù, perché nel momento stesso in cui si sono avvalsi di quel vantaggio attraverso le false fatturazioni, entrano in un circuito controllato dalle mafie rispetto al quale non hanno più possibilità di uscire”