Nuovo allestimento per “Gino Nardi tra Prato, Africa e Scozia – Lettere e diari di guerra e prigionia (1940-1946)”, organizzato dall’Istituto di studi storici postali “Aldo Cecchi” odv e Archivio di stato, con il patrocinato di Regione, Provincia, Comune e Fondazione Cariprato. Accanto ai documenti, in particolare i diari e le lettere del soldato pratese Gino Nardi, già rivelati tra aprile e maggio, ecco ora anche altri spunti per approfondire.
L’esposizione potrà essere scoperta dal 5 all’8 settembre, quindi nel contesto del “Settembre pratese”, a palazzo Buonamici, in via Ricasoli 19. Verrà inaugurata venerdì 5 alle ore 16.30, rimanendo aperta fino alle 19. Nei tre giorni successi sarà raggiungibile, sempre gratuitamente, nelle fasce temporali 10-13 e 16-19.
I contenuti. I visitatori troveranno i carteggi e i diari databili al periodo in cui il protagonista rimase lontano da Prato, prima a combattere e poi in prigionia. Si aggiungono i documenti epistolari e fotografici forniti dalla famiglia Benelli; riguardano Gino e la fidanzata (poi moglie) Iva tra il 1940 e il 1943: più volte vengono ricordati nelle lettere scambiate tra Rina Biagioli e Vittorio Benelli. E poi, i cimeli militari identificati attraverso le foto di allora: divise, attrezzature e oggetti dell’epoca, macchine per scrivere, bicicletta, modellini aerei, resi disponibili in particolare dal Museo storico della linea gotica di Montemurlo e dai collezionisti Marco Mattei, Alessandro Tesi, Yuri Tucci. Le visite, senza costi, potranno essere guidate dai ragazzi del liceo “Cicognini-Rodari”; previsti inoltre approfondimenti con storici, psichiatri e psicologi, sia sugli aspetti storici legati alla Liberazione e ai prigionieri, sia sull’analisi degli stati d’animo di quei momenti. Presente un tavolo dedicato a chi vorrà condividere con una videointervista le storie di familiari militari durante la Seconda guerra mondiale.
Gli approfondimenti. Domenica 7 alle 17,30 lo storico Giuseppe Aucello (“Dal Sudafrica a Prato. Il ruolo della 6ª Divisione corazzata sudafricana nella Liberazione del territorio pratese”), la psicologa e psicoterapeuta Sandra Storai (“La lacerazione emotiva di chi è in guerra. Quando la parola tiene insieme le macerie interiori”), modera Leonardo Meoni. Lunedì 8 alle 17,30 lo storico Enrico Iozzelli (“La Resistenza senza armi. I militari italiani nei campi nazisti”), lo psichiatra Giovanni Benedetto Fazzi (“La prigionia: un filo spinato reale ed un filo spinato mentale”), modera Lorenzo Tinagli.
Gino Nardi. Gino Nardi nasce a Prato il 5 luglio del 1920. La sua famiglia produceva ghiacciaie e mobili da cucina; era molto conosciuta in città. È il primo di quattro figli; successivamente alla dichiarazione di guerra a Francia e Regno Unito (10 giugno 1940), viene definito abile e arruolato nel gennaio 1941. La sua prima destinazione è Firenze, dove resta, salvo brevi periodi ad Apuania e Pistoia, nel “50° Reparto officina mobile pesante” fino al 15 agosto 1942, data che vede la partenza verso il confine francese. In quel periodo il giovane prova le vere privazioni della vita militare. Lui, che non aveva mai viaggiato, viene trasferito più volte, come scrive alla sua amata Iva: “In questi quindici giorni ho girato Toscana, Emilia, Veneto nel primo viaggio e nel secondo viaggio ho fatto Veneto, Lombardia, Piemonte, come vedi quasi tutta la nostra Italia”. Alla fine dell’ottobre 1942 finisce a Napoli, così da imbarcarsi, il 4 novembre, per l’Africa. L’esperienza bellica in tale continente si conclude nel maggio 1943 con la resa agli alleati del suo battaglione e la partenza verso i campi di prigionia della Scozia. Una volta arrivato alla meta, complici il deperimento, il clima insalubre e forse un contagio dall’acqua, passa trentanove giorni in ospedale a Tolluch Castle per una probabile forma di colera. Resterà nel Regno Unito fino al febbraio 1946. La sera del 13 febbraio 1946 la vita ricomincia: riprende il posto nel mobilificio di famiglia e, il 2 settembre successivo, sposa Iva, che non solo l’aveva aspettato, ma l’aveva aiutato a sopportare e superare “la malattia del reticolato”, cioè lo stato di disagio psichico dei soldati costretti alla condizione di prigionieri di guerra. Muore a Prato il 13 febbraio del 2015, esattamente sessantanove anni dopo il suo ritorno. I materiali che lo riguardano sono stati conservati dai figli, Alessandro e Patrizia.