15 Maggio 2014

“La mia vita in mezzo ai poveri del Perù”. La giovane Gemma Amoruso racconta la sua esperienza in missione con l’Operazione Mato Grosso


Avere 20 anni e decidere di partire per uno di quei posti lontani e sperduti, senza copertura telefonica, senza internet, senza acqua calda. Un posto di quelli in cui, ti chiedi perché una ragazza, cresciuta come tanti adolescenti che incontriamo tutti i giorni per strada, abbia voglia di andare a passarci un anno di vita.
«Era da quando avevo 16 anni che sognavo di partire», racconta Gemma Amoruso, pratese, appena ventenne, che solo tre giorni fa è tornata dalla missione di Vilca Bamba, in Perù, dove ha vissuto per quasi un anno. «Avevo voglia di dare una mano, di sentirmi utile per gli altri. E la prima volta l’ho fatto per il terremoto a L’Aquila, passando nel campo della Caritas i miei due mesi di vacanze estive, nell’anno del terremoto». Poi, ha incontrato l’Operazione Mato Grosso, a Prato, e ha deciso di cominciare a fare servizio, lavorando e raccogliendo soldi da inviare nelle missioni. «Per tre anni ho lavorato e preso parte ai campi estivi, – spiega Gemma – poi ho deciso di partire». Gemma aveva 19 anni, in tasca un diploma al liceo scientifico e un anno di studi alla facoltà di Scienze dell’educazione. «I miei erano preoccupati per la partenza, come è normale che sia un genitore. Però erano anche felici della mia scelta».
E così, con un biglietto di ritorno dopo sei mesi (che ben presto ha però deciso di raddoppiare), Gemma parte alla volta del Perù, vicino Cuzco, nel Sud. «Qui non conoscevo nessuno, vivevo in una sorta di casa parrocchiale coordinata da un prete vicentino». L’impatto, ovviamente, è stato fortissimo: «Mi pareva di essere arrivata in un nuovo mondo. Avevo sentito parlare spesso delle missioni e visto molte foto, ma, fino a che non vivi insieme a queste persone, non ti rendi conto di che cosa voglia dire abitare in un posto così, e forse nemmeno vivendoci un anno intero ti rendi conto com’è passare tutta una vita in quel modo, senza possibilità di scelta, senza poter cambiare il proprio destino. Il primo periodo – prosegue Gemma – ho fatto la donna di casa, cucinavo per gli operai e accoglievo i poveri che arrivavano. E l’accoglienza è la cosa più difficile: è una vicinanza non solo materiale, ma anche e soprattutto spirituale: molti hanno bisogno di essere ascoltati, hanno bisogno di qualcuno che stia con loro».
Oggi molti di questi poveri sono diventati suoi amici: per questo Gemma ha deciso di proseguire nella propria attività con l’Omg anche da qui, da Prato, tornando a studiare, certo, «altrimenti mia madre impazzisce», ma anche lavorando «per raccogliere soldi da mandare alle missioni. Perché là ti senti piccolissimo, però capisci che, anche se sembra impossibile, tu qualcosa puoi fare: e allora vuoi farla, altrimenti è come se dentro di te non fosse cambiato nulla. La cosa che mi ha colpita di più? La semplicità e la capacità di voler bene che ha quella gente: sono più capaci di noi nel regalare e voler bene anche avendo pochissimo. A tutti io consiglierei di partire, perché ti cambia, ti aiuta ad aprire gli occhi su tante cose. Talvolta pensiamo di essere sfortunati e invece ci sono persone, dall’altra parte del mondo, che non hanno da mangiare eppure non si lamentano. Vivere un’esperienza di questo tipo ti regala uno sguardo nuovo sulla vita!».

Alcune foto scattate da Gemma nel corso della sua esperienza in Perù

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