8 Giugno 2014

L’altro Godenzio, la storia di Xie il senzatetto cinese che ha ritrovato la strada di casa


Nei giorni scorsi abbiamo raccontato la storia Hu Li Xia, il senzatetto conosciuto come Godenzio. Se la sua vicenda personale ancora non ha trovato una soluzione, dalla comunità cinese arriva la storia, questa volta a lieto fine, di Xie Guofa, un clochard bisognoso di aiuto perché malato di mente. Di lui si è occupato il cappellano cinese don Francesco Saverio Wang, insieme a don Paolo Baldanzi parroco dell’Ascensione al Pino, dove si ritrova la comunità cattolica orientale. Anche Xie, come Godenzio-Hu, è «comparso» in città quasi dal nulla, senza un nome, apparentemente incapace di comunicare e tristemente abbandonato, anche dai suoi connazionali.
La sua vicenda è stata raccontata sull’ultimo numero del settimanale Toscana Oggi, da oggi in edicola.

Xie appare una mattina di inverno del 2009, sporco e vestito di stracci; «era infreddolito e cercava di ripararsi in chiesa», racconta don Paolo, «mi sono avvicinato a lui ma si allontanava, come se non volesse essere aiutato». L’uomo non parla, con sé non ha documenti, nemmeno il sacerdote cinese riesce a scambiare una parola con lui. Allora don Wang fa una cosa molto semplice: prende qualcosa da mangiare e sorridendo la porge a Xie. Con questo gesto il sacerdote riesce a conquistarsi la sua fiducia, l’uomo mangia e ricambia con un sorriso quella generosità inaspettata.


«Da quella volta, per molti mesi, verso lo 12 sentivamo suonare al campanello della parrocchia, era lui in cerca di qualcosa per il pranzo, – racconta don Wang – ma ancora non eravamo riusciti a instaurare nessun dialogo con lui, prendeva il cibo, mangiava, ringraziava con la testa e se ne andava». Il suo nome rimaneva sconosciuto.
Torna di nuovo il freddo dell’inverno e i due sacerdoti decidono di preparare una camera da letto per il loro abituale ospite del pranzo. Per Xie quegli uomini gentili vestiti di nero sono ormai familiari e così accetta di dormire al caldo in una stanza della parrocchia. «In lui c’era qualcosa che non andava, – ricorda il cappellano cinese – non solo era silenzioso, ma aveva lo sguardo perso, era un malato di mente senza fissa dimora».
Poi, un giorno, mentre Xie si trova davanti all’ingresso della chiesa sul marciapiede di via Galcianese, viene notato da due connazionali che lo chiamano per nome. «Conoscete quest’uomo?», chiede subito don Wang ai due cinesi. «Sì, si chiama Xie Guofa e fino a pochi anni fa lavorava con noi in una azienda di Prato. Poi si è ammalato e nessuno lo ha più visto», rispondono gli ex colleghi.
Il sacerdote non perde tempo, conosce la realtà di Chinatown e comincia a fare una ricerca su Xie per sapere se a Prato vivono dei familiari. Viene a sapere che l’uomo ha moglie e figli in Cina, a Fujian, la sua città natale, e che probabilmente la sua malattia mentale è data da un forte dolore causato da una pesante truffa subita. «Il suo datore di lavoro, un cinese senza scrupoli, ha chiuso l’azienda dove lavorava facendo perdere le proprie tracce; – afferma don Wang – Xie doveva ancora riscuotere 9mila euro e così è rimasto senza lavoro e senza un soldo dopo anni di fatica. Probabilmente è caduto in depressione e si è ridotto così».
A Prato, però, nessuno sa come rintracciare la moglie di Xie e così don Wang si affida ai social network cinesi, siti web molto simili a Facebook e Twitter, come Huarenjie, dove è possibile pubblicare foto e lanciare appelli che possono arrivare a milioni di persone. Come un messaggio in bottiglia, scritto nella speranza che qualcuno lo legga e lo diffonda, l’immagine di Xie approda a Fujian e comincia a girare tra gli abitanti della città.
Un giorno, siamo nel 2013, il prete riceve l’email di una donna: «Quello è mio fratello, siamo molto in pena per lui, non sapevamo che fine avesse fatto». Don Wang si mette in contatto con la sorella di Xie, lei è felicissima per aver ritrovato il familiare scomparso e decide subito di venire in Italia per riportarlo a casa, in Cina.


Il 31 ottobre dello scorso anno, la donna, insieme al cognato, ad un amico e addirittura all’ex datore di lavoro di Xie in Cina, arrivano a Prato. «Xie! Il babbo piange da quando non ti fai più sentire ed è molto in pensiero per te», dice la donna abbracciando il fratello.
I familiari iniziano un iter burocratico molto tortuoso per riuscire ad avere i documenti validi per il rimpatrio di Xie. Anche don Wang dà una mano facendo da interprete e insieme ai parenti e agli amici dell’uomo ritrovato va a Roma all’ambasciata cinese per fare tutte le pratiche necessarie. Dopo quindici giorni di carte bollate il gruppo riesce ad avere l’autorizzazione per tornare a casa e la storia ha trovato il suo lieto fine.
Don Wang è molto riservato e solo oggi, dopo aver letto di «Godenzio» ha voluto raccontare questa vicenda che lo ha visto protagonista. In Cina però la vicenda non è passata inosservata ed è stata raccontata da tv e giornali.
«Il problema delle malattie mentali, spesso causate dallo stress per il troppo lavoro è un fenomeno diffuso», spiega fra’ Francesco Brasa, uno dei frati che presta servizio a Chinatown e conosce benissimo la comunità orientale pratese, «nel reparto di neurologia dell’ospedale di Prato vengono ricoverati molti lavoratori cinesi».
Xie ha avuto la fortuna di passare un giorno davanti alla chiesa dell’Ascensione e di essere notato da don Paolo e don Wang, ma forse non è un caso, perché anche se la comunità cattolica è piccolissima rispetto al numero dei cinesi presenti a Prato, ormai tutti gli orientali sanno che al Pino, per loro, c’è accoglienza e aiuto.

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