15 Giugno 2016

Morì dopo aver assunto un farmaco per curare l’herpes, assolto il medico di Careggi


É stata assolta con formula piena per non aver commesso il fatto dall’accusa di omicidio colposo una dottoressa del reparto di oncologia medica a Careggi che ebbe in cura una donna pratese di 49 anni, Gabriella Maria Grazia Cahenzli, deceduta nell’ottobre 2010 per gli effetti di una intossicazione da farmaci. Per lo stesso reato il medico di famiglia, un dottore pratese, ha patteggiato un anno di reclusione, con sospensione della pena: fu lui, nel settembre 2010, a prescrivere alla donna un farmaco contro una forma di herpes labiale, senza rendersi conto della controindicazione con un altro chemioterapico che la donna stava assumendo nell’ambito delle cure oncologiche per un tumore, all’epoca dei fatti sotto controllo. Dopo sei giorni di assunzione del farmaco, il 9 settembre 2010, la paziente accusa altri sintomi, ulcere e disfagie: il marito legge il “bugiardino” del medicinale e scopre le controindicazioni – potenzialmente fatali – con le cure chemioterapiche. È lo stesso medico di famiglia a quel punto a indirizzare la paziente al day hospital dell’oncologia medica di Careggi, dove la paziente era seguita da tempo. Qui le vengono fatte le analisi del sangue, i parametri sono nella norma, e la donna  viene dimessa con la prescrizione di trattamenti locali con acqua e bicarbonato, antinfiammatori, cortisonici e antistaminici. Nei giorni successivi, però, le condizioni della donna si aggravano: il 12 settembre viene ricoverata a Careggi e il 17 settembre viene trasferita all’ospedale Misericordia e Dolce di Prato, in una stanza isolata del reparto di Malattie infettive. È del giorno successivo il trasferimento in Rianimazione, dove la donna muore il 3 ottobre 2010 con una diagnosi di “sepsi in paziente con pancitopenia da sospetta reazione da farmaci”. 

In pratica l’assunzione del medicinale contro l’herpes ha inibito gli enzimi che avrebbero dovuto controbilanciare la tossicità della chemioterapia, provocando un’assunzione di sostanze velenose in misura sette volte superiore a quella prevista dalle cure.
La sentenza del giudice De Luca, le cui motivazioni arriveranno entro 90 giorni, ha evidentemente accolto le tesi della difesa: l’avvocato Luca Bisori ha prodotto diverse perizie secondo cui a Careggi sono state messe in atto tutte le terapie conosciute e possibili e che l’esito fatale conseguente all’assunzione incrociata di farmaci non poteva essere evitata. La pubblica accusa, sostenuta dal pm Laura Canovai, aveva chiesto per la dottoressa di Careggi una pena di un anno di reclusione. Nel corso del processo la parte civile, sostenuta dall’avvocato Francesco Mandarano, aveva accusato l’indagata di una tardiva somministrazione di una terapia d’urto alla paziente. E aveva chiesto conto del mancato utilizzo di un “farmaco antidoto” che all’epoca dei fatti era in via di sperimentazione all’estero. Il farmaco – è stato fatto notare dalla difesa – è stato approvato dalle autorità competenti in America a fine 2015 e in Europa non ne è ancora stata autorizzato l’utilizzo.
L’esposto all’Ordine dei Medici di Prato da parte del vedovo della donna ha fatto scaturire un giudizio disciplinare nei confronti del medico di famiglia della donna, che ha subito la sanzione del semplice “avvertimento”.

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