26 Settembre 2018

800 tonnellate di tessuti di contrabbando venduti all’asta dopo il sequestro: ricavo di 3 milioni, ma Confindustria non ci sta


4,5 milioni di metri lineari di tessuto arrivati in Italia di contrabbando, sequestrati dalla guardia di finanza ad un’impresa cinese di Prato e venduti all’asta con un ricavo di 3 milioni di euro, quando ancora i beni sono sotto sequestro probatorio. Il provento della vendita è andato a confluire nel fondo unico giustizia, dove è congelato: in caso di condanna definitiva passerà allo Stato, mentre in caso di assoluzione, i 3 milioni di euro saranno “restituiti” alla ditta cinese.
La vendita è stata disposta dalla Procura di Prato – che oltre al contrabbando, contesta all’azienda cinese anche reati di natura fiscale – sfruttando la possibilità prevista dalla legge per le merci deteriorabili, in modo da salvaguardarne il valore, nell’ottica della definitiva confisca. Al deprezzamento dei tessuti, in caso di mantenimento del sequestro, si sarebbero aggiunti, per alcuni anni, i costi per lo stoccaggio: il proprietario del capannone dove erano custoditi, una volta disdetto l’affitto, ha ottenuto lo sfratto dell’azienda cinese locataria e ha chiesto allo Stato un canone mensile piuttosto alto per manenere i beni in loco.
Ad aggiudicarsi i diversi lotti di tessuto, il cui peso complessivo è di circa 800 tonnellate, sono state tre aziende di Prato (di cui due italiane e una cinese) e due ditte di Napoli.
La notizia dell’asta-record ha suscitato l’immediata presa di posizione di Confindustria Toscana Nord, che sottolinea gli effetti negativi di questa operazione.
“E’ comprensibile che lo Stato cerchi di monetizzare e ricavare qualcosa da merce altrimenti giacente senza alcuna utilità – scrivono in una nota gli industriali -. Quei 3 milioni di euro ricavati dalla vendita all’asta on line sono un’entrata importante per le casse pubbliche ma lo sarebbe stata anche per un’azienda corretta e legale che avesse voluto vendere propri tessuti – riconoscibili e tracciabili, con tutte le carte in regola rispetto alla legge – per quegli stessi usi per i quali verranno impiegati i tessuti sequestrati. Tessuti, questi ultimi, di cui a quanto pare non si sa niente, né da dove vengano né come sono stati realizzati e con quali garanzie di salubrità delle sostanze impiegate per produrli (fatta salva l’eventualità di controlli di laboratorio puntuali su tutta la merce: se sono stati fatti, sarebbe interessante sapere con quali esiti). Parliamo inoltre di un importo di 3 milioni per una vendita a peso a prezzi nettamente inferiori a quelli di mercato: moltiplicando questo valore almeno per 5 se non di più, come potrebbe essere verosimile, l’importo è l’equivalente del fatturato annuo complessivo di un’impresa tessile pratese di ottimo livello. L’effetto finale di questa operazione è che una quantità molto consistente di tessuti ignoti quanto a provenienza e caratteristiche chimiche e merceologiche viene commercializzata a un prezzo inferiore a quello di mercato, sostituendosi di fatto a una uguale quantità di tessuti legali che non verranno venduti”.
“Non vogliamo contestare sul piano formale un’operazione che, essendo stata fatta da soggetti pubblici, evidentemente è del tutto legittima – commenta il presidente della sezione Sistema moda di Confindustria Toscana Nord Andrea Cavicchi -. Intendiamo solo far riflettere su come l’illegalità finisca sempre per creare dei danni, perfino quando viene individuata e sanzionata. In questo caso, danni ingenti, che colpiscono in maniera indiretta aziende non necessariamente pratesi ma comunque legali che avrebbero potuto coprire con loro prodotti quella necessità del mercato. E, potenzialmente, anche danni per i consumatori, che acquisteranno capi di abbigliamento realizzati con tessuti il cui profilo ecotossicologico è probabilmente ignoto, così come caratteristiche merceologiche quali la composizione fibrosa. E’ una strada apparentemente senza uscita: queste merci o vanno al macero e lo Stato rinuncia a recuperare almeno un po’ delle risorse che spende per i controlli, oppure entrano nel flusso del mercato alterandolo e distorcendolo. Una riflessione sulle regole che governano aste giudiziarie di questo tipo andrebbe fatta, ma in realtà una terza via c’è: combattere a monte con maggior energia ed efficacia l’illegalità nel settore tessile, il contrabbando e la commercializzazione di prodotti non in regola, intervenendo quindi per prevenire questi fenomeni e non solo per reprimerli. Quando queste merci sono entrate in Europa e in Italia, il danno è già fatto e rimane forte, come dimostra questa vicenda, perfino quando vengono individuate e sequestrate.”

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