25 Ottobre 2022

Sottopasso di via Ciulli, 12 anni dopo la tragedia il processo finirà in prescrizione

Nella notte tra il 4 e il 5 ottobre 2010 tre donne morirono nel tunnel, che è tuttora chiuso


Finirà in prescrizione il processo per la morte di tre donne cinese annegate nel sottopasso di via Ciulli nell’ottobre del 2010. Al termine del giudizio di primo grado nel 2016 Lorenzo Frasconi, ex dirigente del Comune di Prato e Stefano Caldini, direttore dei lavori per Ferrovie dello Stato, furono condannati rispettivamente a 2 anni e ad un anno e 8 mesi per omicidio colposo plurimo dal Tribunale di Prato, che assolse altri due imputati. Da allora sono passati altri sei anni e ancora il processo di appello non è terminato. Così, stamani la stessa Procura generale della Corte d’Appello, che ha discusso per le questioni attinenti ai risarcimenti delle parti civili, ha concluso le proprie richieste sottolineando che il reato è prescritto. Il termine di prescrizione, nel caso di specie, è fissato in sette anni e mezzo; un termine ampiamente scaduto, anche considerando i periodi di sospensione previsti dall’ordinamento, compresi quelli dovuti alla pandemia.
Nelle arringhe difensive gli avvocati degli imputati hanno comunque chiesto l’assoluzione ed escluso responsabilità dei propri assistiti nell’accaduto, respingendo anche eventuali conseguenze civilistiche.
Nella notte tra il 4 e il 5 ottobre il sottopasso di via Ciulli si allagò raccogliendo le acque dell’esondazione del Vella, causando la morte di tre donne che transitavano con l’auto nel sottopasso. L’avvocato Olivia Nati ha sottolineato l’imprevedibilità dell’evento, escludendo che potesse esserci evidenza del pericolo di tracimazione del Vella e parlando di “antropomorfizzazione delle responsabilità del Comune in capo al Frasconi”. “Se i dipendenti pubblici fossero come lui – afferma l’avvocato Nati -, la pubblica ammnistrazione funzionerebbe meglio perchè l’ingegner Frasconi ci ha sempre messo la faccia, ma non gli si possono attribuire delle competenze che non aveva in quel momento e delle manchevolezze che non lo riguardano”.
Nel processo di primo grado, oltre che sulle competenze nella manutenzione dell’infrastruttura, si è dibattuto molto della classificazione del Vella quale torrente o fognatura, e sulla necessità di ottenere un parere del Genio Civile, mai richiesto, all’atto della costruzione del sottopasso nei primi anni Novanta.
Secondo Sigfrido Fenyes, avvocato di Stefano Caldini, per quanto emerso dalle perizie e dalle testimonianze nel processo “il nulla osta del Genio Civile sarebbe stato sicuramente concesso senza alcuna prescrizione, circostanza che fa venire meno il nesso di causalità sostenuto dall’accusa”.
Per quanto concerne i risarcimenti, alcuni dei parenti delle vittime hanno proceduto intentando causa civile: il Tribunale di Prato ha condannato il Comune di Prato ed Asm e dopo questa sentenza civile è intervenuto un accordo di transazione che ha visto pagare le Generali, con cui il Comune e la partecipata erano assicurati.
Quanto alla percorribilità del sottopasso, il tunnel è stato recentemente dissequestrato dalla Corte di Appello ed è tornato nella disponibilità del Comune di Prato che però, prima di procedere alla riapertura, deve completare alcune opere di manutenzione all’infrastruttura, e deve aspettare che la Asl abbia completato la realizzazione della nuova cassa di espansione davanti al nuovo ospedale, intervento connesso alla nuova palazzina del Santo Stefano, che contribuirà alla messa in sicurezza idraulica della zona.

 

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