Roberta Giommi: “In carcere per il figlio avuto dal tredicenne? E mancato il dialogo col marito”
La sessuologa pratese esamina la condanna decisa dalla Cassazione. "Parlarsi fondamentale per la prevenzione". Giovani maschi abbandonati dalle istituzioni
L’aspetto consolatorio è che le reazioni sono rimaste nei confini della legge e della civiltà. Per meno, molto, molto meno ogni giorno accadono fatti di violenza inaudita all’interno di famiglie italiane.
Per il resto, il caso della trentacinquenne che sei anni fa ebbe una relazione con un tredicenne dalla quale nacque un bambino presenta aspetti che meritano di essere approfonditi, all’indomani della conferma da parte della Cassazione della condanna a seianni cinque mesi e 15 giorni della donna che in conseguenza del passaggio in giudicato del provvedimento si trova da alcuni giorni reclusa nel carcere di Sollicciano.
Esaminiamo il fatto e i suoi sviluppi con Roberta Giommi, psicoterapeuta e sessuologa clinica fra le più note in campo nazionale, autrice di innumerevoli libri, collaboratrice di giornali e riviste e protagonista di programmi radiotelevisivi. Presidente dell’Associazione sessuologi italiani e direttrice dell’Istituto Ricerca e Formazione di Firenze è considerata fra i massimi esperti italiani nel settore e nella terapia di coppia. Roberta Giommi, fiorentina di nascita vive e lavora da sempre a Prato.
Dottoressa Giommi, quale insegnamento si può trarre dalla vicenda che si è appena conclusa con la condanna della Cassazione?
“Che il dialogo e la formazione sono i soli strumenti utili alla prevenzione del danno e, una volta che il danno si è consumato, sono fondamentali per portarlo ad emersione. A farlo scoprire, con tutte le conseguenze del caso. Comunque preferibili al silenzio, al segreto protratto nel tempo, magari per sempre”.
In questa vicenda, dove si è verificata una forma di dialogo?
“Fra il ragazzo tredicenne e la propria madre. Se questa ha potuto denunciare il fatto è perché ha appreso la vicenda dal figlio. Certamente fra mille difficoltà, ma il dialogo è avvenuto ed è stato un bene. Figli e genitori devono parlarsi”.
L’incomunicabilità fra generazioni è una costante della società contemporanea.
“Consiglio un patto d’onore fra genitoiri e figli, Dichiarare che apriremo le porte della camera e ci siedremo accanto per vedere cosa stanno guardando. Non lasciare il ragazzo o la ragazza assieme al telefonino o al computer sempre da soli”.
Non è un’operazione facile.
“Di facile o scontato non c’è niente, in questo campo. Può sorgere un conflitto, ma sempre meglio dell’indifferenza. Ai genitori chiedo: lascerebbe che suo figlio/figlia andasse in moto senza casco? O in mare aperto senza un natante, un salvagente vicino? L’adolescente o preadolescente senza controllo con il proprio smartphone non sono in una condizione di minor pericolo di chi si trovi senza protezione sulla strada o in acqua”.
Quali sono i rischi concreti?
“Con la pandemia è enormemente aumentata la frequentazione dei siti pornografici da parte dei giovanissimi. Anche bambini e bambine di dieci-undici anni precocemente sviluppati. Uno dei rischi è che l’educazione sessuale dei ragazzi e delle ragazze avvenga esclusivamente tramite quella fonte”.
Con quali conseguenze?
“Che si confonda il sesso con la prestazione (anche col rischio ulteriore di sentirsi soccombenti per emulare), anziché come fonte di piacere”
Piacere reciproco.
“Giusta osservazione. Di sé e del/della partner. Piacere come dono e non solo come ricezione. E questo aspetto si lega strettamente all’altra grave conseguenza del condizionamento da pornografia”.
Quale?
“Il distacco del sesso dalla sfera sentimentale ed emotiva”.
Cosa si fa, da parte delle istituzioni, per aiutare gli adolescenti?
“Meno di ogni altro paese europeo. L’Italia è sola a non aver introdotto educazione sessuale nelle scuole, momento importante di formazione e crescita per il quale il nostro Istituto Ricerche Formazione Istituto Nazionale di Sessuologia si batte da anni. Senza che nessun governo di nessun colore lo abbia trasformato in realtà. A Prato negli anni precedenti il covid grazie all’accordo con il Buzzi e il Copernico, incontrammo centinaia di ragazze e ragazzi. Grande coinvolgimento, interesse, partecipazione”.
La sfera sessuale è privata. In gruppo si rischia di ottenere l’effetto opposto.
“Sta alla sensibilità e all’esperienza degli adulti passare dalla sfera collettiva a quella individuale. Nel rivolgermi ai ragazzi catalogai i partner con nomi di pesci, in base ai rispettivi comportamenti. Una ragazza chiese di fronte a tutti: ‘Perché io m’innamoro solo di pescecani? Le risposi, pubblicamente in modo generico e la invitai a fermarsi a fine incontro. E parlammo”.
Il caso pratese, con un giovanissimo maschio vittima, induce una considerazione: le adolescenti sono avvantaggiate, sul fronte delle attenzioni in materia sessuale. Mestruazioni, rischio di gravidanze indesideate ne fanno oggetto di cure, consigli, preoccupazioni. Per i coetanei maschi non è così.
“Le ragazze incontrano la ginecologa o il ginecologo da adolescenti. L’uomo vede l’andrologo ed effettua un esame spermatico solo se – adulto – curi un’eventuale infertilità. Le malattie sessualmente trasmissibili raggiungono il picco in percentuale tra i 14 e i 24 anni, ma non è ancora sufficiente perché ci si prenda cura di quella fascia anagrafica, accompagnando i ragazzi a una formazione sessuale che, fuori da scuola – ricevono dalle fonti più disparate”.
Passiamo agli adulti. In un panorama nazionale insanguinato quotidianamente da femminicidi, delitti a sfondo sentimentale e sessuale, la vicenda pratese si offre come paradigma positivo. Non c’è stato neppure un accenno di violenza.
“Ricordiamo che violenza è avvenuta, nei confronti del tredicenne, che ha praticato sesso senza averlo scelto e che oggi, a sei anni dall’evento è ancora in terapia per le conseguenze di questo evento”.
Parlavo di reazioni violente fra adulti. Per molto, molto meno della nascita di un figlio fuori dal matrimonio, per di più con padre adolescente, sono avvenute stragi.
“È vero. La famiglia della vittima ha reagito con lo strumento della legge. Il marito della donna che ha partorito il bambino avuto dal tredicenne ha ottenuto l’affido del piccolo. Le reazioni sono state civili”.
A proposito del marito. Venerdi scorso sulla prima pagina del Corriere Massimo Gramellini, tessendone le lodi per il comportamento osservato, lo ha ribattezzato M.P. Maschio Perbene.
“Di fronte a una vicenda complessa e dolorosa da cui si aprivano molteplici potenziali scenari, quell’uomo ha anteposto a tutto la condizione dei figli: il proprio e quello partorito dalla moglie e che gli è stato dato in affido. Nelle dichiarazioni rilasciate, ha ammesso che anche lui aveva commesso errori. Indubbiamente, un comportamento costruttivo, mosso da affetto, intelligenza, garbo e non da rabbia. Tuttavia, anche nel caso del marito va rilevata una mancanza importante”.
Quale?
“Torniamo all’inizio della nostra conversazione. Al dialogo. Se lui e la moglie si fossero parlati in modo approfondito, avessero stabilito un grado di confidenza più marcato, forse sarebbero emersi segnali tali da indurre a richiedere sostegno per una terapia. Durante la quale la propensione della signora a commettere il danno sarebbe probabilmente venuta alla luce. Prevenendo la relazione col ragazzo, la nascita del figlio, le conseguenze con le quali oggi si fanno i conti. Il dialogo, il confronto, parlarsi all’interno della coppia è decisivo. E non va mai temuto”.
A proposito di femminicidi. Possibile che i maschi che ricevono un abbandono reagiscano sistematicamente con la violenza?
“La interrompo. Intanto, faccio rilevare che i fatti di violenza sono tantissimi, troppi, ma esistono migliaia di composizioni civili, frutto di reazioni responsabili delle persone coinvolte e dell’attività di prevenzione svolta a ogni livello”.
Volevo dire che la chiusura di un rapporto apre porte forse intimamente desiderate ma inespresse quando la relazione era in corso. Chiama alla sfida di cercare nuovi amori, di tornare ad essere attraente per altri. Invece, spesso prevale il senso di vendetta.
“Ogni rottura comporta lutto e scatena la tendenza agli opposti comportamenti di depressione e rabbia. Abbandonarsi a questa significa reagire per distruggere e non costruire. È fondamentale mantenere un buon rapporto coi figli: l’affido condiviso è un ottimo strumento di equilibrio nella coppia che si è separata. Il mio consiglio per questa evenienza e per la vita in genere è tenere un ‘quaderno dei desideri‘, aggiornato anno per anno, momento per momento. In seguito a un lutto è bene ricercare tutto ciò che nel corso della vita abbiamo desiderato e non fatto. E chiedersi se ci piacerebbe raggiungerlo ora. Ripartire da noi stessi e da ciò che avremmo voluto mentre si subisce un evento indesiderato come un abbandono. Vedere non solo ciò che si è perduto ma ciò che si apre davanti a noi. E se siamo in difficolatà, farsi aiutare”.