23 Novembre 2017

Export e confezioni hanno “salvato” il distretto pratese: presentato lo studio del PIN. Aumentano l’occupazione, ma anche il precariato


L’economia del distretto di Prato ha tenuto durante la crisi e tiene tuttora grazie all’export e alle ditte di confezioni che fanno da traino per il settore moda. E’ l’esito della ricerca sulle dinamiche economiche pratesi commissionata al Pin e finanziata dal Comune e dal COGEFIS, il comitato che riunisce Confindustria e sindacati. Il dossier sarà discusso pubblicamente in occasione dei prossimi incontri di Artimino, dal 27 al 29 novembre. Che la crisi avesse dato un duro colpo alla nostra economia non è un mistero e i numeri ci dicono che dal 2012 la ripresa è costante ma molto lenta. E’ il settore delle costruzioni ad aver perso il maggior numero di aziende, che invece tra il 2009 e il 2016 crescono nella componente industriale delle confezioni, come risaputo, per lo più a conduzione cinese.

Dal punto di vista occupazionale, è di ben 6 punti percentuali il sorpasso in termini di addetti che il comparto delle confezioni ha operato su quello delle produzioni tessili. In generale, nel distretto si lavora meno e i nuovi ingressi nel mercato del lavoro sono prevalentemente caratterizzati da contratti a termine: solo nel 12% dei casi il tempo determinato si trasforma in un tempo indeterminato. Secondo una proiezione contenuta nello studio, nel 2018 aumenterà la qualità contrattuale. Notizia al chiaroscuro se si pensa che la forma a tempo indeterminato è prevalente solo tra i lavoratori cinesi: i contratti a tempo indeterminato, infatti, assicurano l’ottenimento e il mantenimento del permesso di soggiorno. Secondo la letteratura esistente in materia, la stessa tipologia contrattuale “nasconde” l’evasione contributiva e il lavoro a nero (in realtà il lavoratore cinese lavorerebbe ben oltre le 40 ore settimanali). “C’è poi la questione del credito – sottolinea Enrico Fabbri, autore dello studio e ricercatore del PIN -. Il credito bancario dal 2012 è diminuito dell’8% e tuttora viene erogato più al settore dei servizi che a quello dell’industria. Proprio quando il sistema produttivo aveva bisogno di reagire, c’è stata una contrazione delle liquidità versate dalle banche. Si può dire che nell’industria ci sia stata una crescita senza credito, e questo lo si deve molto anche alla capacità di innovazione dei nostri imprenditori”.

(Nella foto in evidenza, da sinistra: il professor Fabio Sforzi dell’Università di Parma, che interverrà durante gli Incontri di Artimino al Museo del Tessuto; Massimo Bressan, presidente dell’IRIS Ricerche che promuove gli Incontri di Artimino; il ricercatore Enrico Fabbri; Alessandro Fabbrizzi, segretario provinciale Cgil e presidente pro tempore COGEFIS; l’assessore comunale allo Sviluppo economico Daniela Toccafondi)

LS

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