21 Aprile 2020

Coronavirus, protestano i ristoratori pratesi. La fase 2 spaventa: “Assurdo lavorare con tavoli decimati e barriere di plexiglass”


Insegne spente, tavoli vuoti e consegne a domicilio (nel migliore dei casi) con margini di guadagno risicati. Ecco cosa significa essere ristoratore al tempo del Coronavirus. Sembrano lontani ormai i week end da tutto esaurito: l’emergenza ha travolto l’intero settore, soffocato dalle misure di contenimento del contagio. Gli imprenditori guardano al futuro con incertezza e preoccupazione.

Una quarantina di esercenti del settore del food di Prato e provincia, soci di Fipe, hanno deciso di confrontarsi su Telegram: dalla chat è nata una lunga lettera che contiene dubbi e richieste. Una sorta di manifesto che ripercorre le lunghe settimane dell’epidemia, dall’allarme alla chiusura forzata. Le voci sono quelle di ristoratori, titolari di pub e bar.”Il nostro è stato fra i primi settori a dover chiudere, dall’oggi al domani – si legge nella lettera -, costringendoci a fare il possibile per cercare di salvare il salvabile delle merci deperibili, stoccate nei nostri locali. La sottovalutazione sin dall’inizio del problema, da parte dello Stato, ha fatto sì che, ancora oggi, le nostre aziende rimangano chiuse”. Chi ha potuto si è attrezzato con il servizio di consegna a domicilio, che però non permette di avere reali margini di guadagno. “Un palliativo, lo definirei”, afferma Leandro Lenoci del ristorante pizzeria Antichi Sapori, uno dei firmatari del documento. “Quanto ho perso in questi mesi di serrata forzata? Il 99,99% dei guadagni”.

Anche la cosiddetta “Fase 2” spaventa: gli scenari di cui si discute a livello nazionale non convincono e risultano inapplicabili. Postazioni igienizzanti per le mani, guanti e mascherine da indossare, ma soprattutto una distanza sociale tra i clienti di quasi 2 metri. Per non parlare poi dei fatidici divisori in vetro o plexiglass tra i tavoli, addirittura tra una persona e l’altra. “Lavorare in queste condizioni è assurdo – affermano i ristoratori -. Si potrà fare al massimo un decimo del lavoro di prima, dovendo, per etica e umanità, mantenere però lo stesso personale”. Un esempio pratico? Agli Antichi Sapori, secondo le prime stime, a fronte di 250 posti a sedere ne potranno “sopravvivere” soltanto una cinquantina. Lenoci, che ha 10 dipendenti, ha richiesto per tutti la cassa integrazione.

Gli imprenditori del food però non ci stanno: “Se così sarà, e a queste condizioni, non vogliamo ripartire. Anche perché non potremo controllare il comportamento delle persone. Nessuno di noi è un vigile o un soggetto preposto al loro controllo”, commentano i ristoratori. E la sanificazione? “Tutto ciò, giustissimo, ma avrà costi importanti per le aziende”, rimarcano. La richiesta finale è quindi quella di avere un anno di tassazione in bianco. “Anche perché le spese non sono mai state bloccate o rimandate e quindi si andranno a cumulare. In queste condizioni non si farà altro che far morire tante piccole e medie imprese che sono – concludono gli esercenti – il vero motore dell’Italia”.

GG

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